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Idrossiclorochina, così il farmaco anti-malaria previene il Coronavirus

Una ricerca su 211 persone dimostra come la profilassi con Idrossiclorochina impedisce il contagio di Covid-19. L'intervista al ricercatore italiano Andrea Savarino

Peter D'Angelo
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È stato pubblicato sulla rivista International Journal of Antimicrobial Agents, l'organo ufficiale della Società Internazionale di Chemioterapia Antimicrobica il risultato di un esperimento di profilassi di COVID-19 in persone esposte a individui positivi al coronavirus. Il 15 febbraio un'operatrice sanitaria risultava positiva a SARS-CoV-2. L'operatrice aveva girato liberamente per tutti i reparti dell'ospedale, dove prestava servizio. Non era possibile mettere in quarantena tutti quelli che erano venuti in contatto con l'operatrice, si sarebbe bloccata l'attività sanitaria. Il 25 febbraio anche un'altra persona risultava contagiata. Il giorno dopo, il 26 febbraio, è iniziato il primo esperimento di profilassi post-esposizione a base di idrossiclorochina (440 mg/die), per ben 211 persone, tra sanitari e pazienti. Dopo 10 giorni, nessuno risultava positivo al coronavirus. Per capire cosa possa significare questa ricerca, chiediamo ad Andrea Savarino, ricercatore dell'Istituto Superiore di Sanità, e uno dei massimi esperti di idrossiclorochina a livello internazionale per le sue pubblicazioni in merito, ma anche perché fu lui a proporre l'uso dell'idrossiclorochina nel 2003, per contrastare Sars1.  Qual è la novità di questa pubblicazione scientifica? Cosa si evince? Questo è il primo esperimento di profilassi post-esposizione contro COVID-19 ad esser stato pubblicato. È molto significativo perché fu effettuato in un momento di crescita esponenziale dell'infezione in Corea, paese che è stato preso ad esempio per le efficaci misure di contenimento di COVID-19 che ne hanno impedito la diffusione. Si evince che è possibile mettere in atto una strategia di prevenzione farmacologica contro il coronavirus in un gruppo abbastanza ampio senza effetti collaterali inaccettabili. Mi faccia capire, nello studio si parla di 211 persone che sono venute a contatto (con diversa intensità) con persone positive al COVID19 - come in molti casi italiani, le Rsa e gli ospedali sono diventati dei veri e propri incubatori del coronavirus - ma nessuno dei 211 è stato contagiato? Nessuno. Leggi anche: ESCLUSIVO Zelenko: così curo il coronavirus con l'idrossiclorochina Ma queste due persone non erano in isolamento, come possono aver contagiato qualcuno? Erano in isolamento, sì, certo, ma solo dopo la diagnosi. Questo significa che prima avevano avuto contatti con altri liberamente. Se non fosse stata usata l'idrossiclorochina come profilassi preventiva – per evitare l'inizio dell'attacco virale  - quale sarebbe stata -, presumibilmente la curva dei contagi? Esiste un modello matematico che possa spiegare questo andamento?  Ovviamente la stima è probabilistica e non potrà mai essere precisa, tuttavia, è possibile calcolare quanti sarebbero potuti essere i contagi partiti dai due pazienti con COVID-19 diagnosticato. Assumendo che i due pazienti, nel periodo in cui potevano diffondere l'infezione, avessero passato circa la metà del loro periodo di veglia in ospedale, è possibile predire che si sarebbero verificati una decina di nuovi casi senza il trattamento con idrossiclorochina (*in fondo all'articolo, versione estesa, molto tecnica, di questa risposta, ndr). Mi spieghi meglio il significato di "'effetto profilassi"? L'effetto profilattico di un intervento terapeutico è la sua capacità di impedire il contagio, se effettuato preventivamente (profilassi pre-esposizione), oppure la sua capacità di impedire che un'eventuale infezione nei suoi primissimi stadi possa "attecchire" nell'organismo (profilassi post-esposizione). La profilassi con idrossiclorochina, come agisce? Per quale motivo potrebbe avere questo effetto di "schermatura"? Mi faccia passare l'iper-semplificazione del termine. L'idrossiclorochina è uno dei farmaci antivirali sperimentali che agiscono più precocemente nel ciclo vitale del virus. Per potersi riprodurre e propagare nell'organismo, un virus necessita di entrare in una cellula per poi poter "parassitare" sulle sue risorse. L'idrossiclorochina agisce verosimilmente a livelli multipli. Il suo effetto forse più importante, quando viene somministrata preventivamente, è l'induzione di una modificazione di una proteina che si trova sulla superficie delle cellule, l'ACE2, che il virus usa come suo recettore. In altre parole, il virus ha bisogno di un aggancio specifico per poter entrare nelle cellule. Se questo aggancio per effetto dell'idrossiclorochina viene a mancare, il virus non può più entrare nelle cellule e creare nuova progenie.  La durata della "schermatura"? L'idrossiclorochina permane a lungo nell'organismo. Dopo una settimana di sospensione del trattamento rimane ancora circa il 30 per cento di una dose giornaliera. Rimangono inoltre accumulati nei tessuti alcuni metaboliti attivi. Al momento non è ancora possibile capire quanto durerebbe la protezione, anche perché attendiamo conferme per capire se questa realmente vi sia. Una cosa che però mi sento di dire è che bisogna fare attenzione a somministrare altri farmaci anche dopo la sospensione di idrossiclorochina per un certo periodo. I metaboliti accumulati potrebbero avere delle interazioni farmacologiche. Questa strategia ricorda la profilassi (con periodo di “schermatura”) che si fa prima di andare in un paese dove c'è la malaria, corretto?  Quella che Lei menziona è un esempio di profilassi pre-esposizione. Quella messa in atto in Corea è una profilassi post-esposizione. In questo caso poi, dovendo proteggere da un virus e non da un parassita come nel caso della malaria, i dosaggi somministrati sono molto diversi. Quanto è affidabile questa pubblicazione scientifica? La pubblicazione è affidabile in quanto pubblicata su una rivista che sottopone gli articoli al vaglio di esperti del settore che ne mettono in luce eventuali errori o limiti, permettendo, ove possibile, agli autori di correggerli o di cambiare le conclusioni. Un limite dello studio è l'assenza di un gruppo di controllo, che non sarebbe stato etico in questo caso. Secondo, una studiosa di farmacologia, Annalisa Chiusolo, un meccanismo (ancora non descritto) dell'azione di contrasto dell'idrossiclorochina con Covid19, sta nel fatto che idrossiclorochina impedisce al virus, il legame con la porfirina, e quindi  blocca la sua capacità di interferire con il trasporto dell'ossigeno (a livello di emoglobine), che poi porterebbe al quadro di infezione acuta respiratoria? La sua interpretazione è molto interessante. Fra l'altro io incappai nella clorochina poiché da giovane lavoravo proprio sul ferro.  Torniamo in Italia: l'effetto profilassi può avere senso dopo il lockdown? Premetto che questi risultati, come in tutta la scienza che si rispetti, prima di esser dati per certi avranno bisogno di una conferma. Se ciò avverrà, sicuramente avremmo in mano un'arma per contrastare i contagi senza dover imporre restrizioni a tutta la popolazione. Come nell'ospedale coreano, coloro che saranno venuti in contatto con nuovi contagiati potranno essere sottoposti ad una profilassi post-esposizione, limitando così i rischi per sé e per gli altri. Negli ospedali italiani, si raccomanda o meno, l'uso di idrossiclorochina come “schermatura” e prevenzione post-contatto con persone positive? Al Cardarelli di Napoli raccomandano l'idrossiclorochina come profilassi post-esposizione (pubblicazione su Clinical Infectious Diseases, una rivista scientifica prestigiosa). Inoltre medici dell'Università di Milano, auspicano l'uso dell'idrossiclorochina come profilassi (Lancet infect dis 2020). Nessuno di questi articoli riporta dati ma sole intenzioni. Fanno comunque vedere come il concetto sia largamente condiviso in Italia. Annals of Rheumatic Diseases riporta poi un articolo che dice le stesse cose a firma di reumatologi italiani.  Infine, esiste anche un articolo scientifico pubblicato dalla rivista di una società medica italiana, che va in questa direzione. Quello che si teme è una seconda ondata di contagi, dopo la riapertura. Non solo, anche una ripresa virale in autunno. Il distanziamento sociale e le mascherine possono bastare per evitare questi scenari? Al momento è veramente difficile azzardare previsioni di questo tipo. Quello che sicuramente potrebbe fermare un'eventuale seconda ondata è un ulteriore progresso medico/scientifico, con test precoci disponibili per tutti, farmaci in grado di effettuare un'efficace prevenzione post-esposizione ed infine un vaccino preventivo che possa immunizzare la maggior parte della popolazione. NOTA *: Abbiamo i dati, disponibili sul sito www.worldometers.com che descrivono il progresso dell'epidemia in Corea del Sud in un periodo sovrapponibile a quello degli eventi descritti dalla pubblicazione su Int J Antimicrob Chemother. In particolare sono disponibili i dati dal 18 al 26 febbraio, data nella quale i pazienti e gli operatori sanitari furono messi sotto profilassi post-esposizione. In un periodo di otto giorni si passa da 27 a 281 nuovi casi. Applicando lo stesso ritmo di crescita dai 5 giorni antecedenti alla diagnosi del paziente 2 (25 febbraio) all'inizio della profilassi post-esposizione di massa (26 febbraio), è possibile predire che durante questi sei giorni il paziente 2 potrebbe aver innescato una catena di contagi che sarebbero risultati in circa sette nuovi casi di COVID-19. Applicando, di nuovo, lo stesso ritmo di crescita dai 5 giorni antecedenti alla diagnosi del paziente 1 (15 febbraio) all'inizio della profilassi post-esposizione di massa, è possibile predire che durante questi undici giorni il paziente 1 avrebbe potuto portare a circa quattordici nuovi casi di COVID-19, per un totale di 21 nuovi casi  insieme a quelli verosimilmente causati dal paziente 2. 

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