Cerca
Logo
Cerca
Edicola digitale
+

I porti riaperti? Che disastro per la Cristianità

I pericoli del cambio di linea

Nicola De Felice*
  • a
  • a
  • a

Le linee programmatiche del governo Conte-bis e le avventate affermazioni della Cei fanno capire come il problema dell'immigrazione clandestina stia di nuovo per essere affrontato in maniera ipocrita e superficiale. Aprendo indiscriminatamente i porti non potremo che aspettarci gravi ed insanabili conseguenze sociali e collettive per l'intera comunità cristiana. I mercanti di esseri umani in Libia, nelle regioni subsahariane e nel Corno d'Africa stanno già raccogliendo massicce adesioni di questi «naufraghi a pagamento», aumentando insperatamente il prezzo per il trasbordo in Italia, unico scalo d'alaggio europeo in ossequio alla direttiva franco-tedesca. I pirati del XXI secolo, incoraggiati da lucrosi profitti di fine stagione, sono pronti a servire su un piatto d'argento migliaia di «schiavi» alle navi ong. Le “navi taxi”, finanziate improvvidamente dalla Chiesa Evangelica tedesca, si affrettano ad avvicinarsi alle coste libiche, ansiose di giustificare le dorate paghe degli equipaggi ed incredule per l'ennesima opportunità di strumentalizzare politicamente il fenomeno migratorio. Le cooperative e gli speculatori d'ogni sorta, in spregio ad ogni etica di civiltà europea, riaprono gli ostelli-ghetto per rilanciare il business della bugiarda accoglienza, pagata dal contribuente a peso d'oro. Le nazioni della sponda sud del Mediterraneo riprendono la bieca usanza di inattese amnistie permettendo alla più turpe feccia di espatriare in Italia. E l'amico Totò Martello, sindaco di Lampedusa al quale avevo consigliato invano di avvicinarsi a Salvini, ora è più che mai isolato nei suoi richiami d'aiuto, considerati «a perdere per causa di forza maggiore» dalla casta radical-chic ora al potere, lontana dalla realtà e dai fabbisogni dei cittadini. Una casta che, in nome del politicamente corretto, se ne infischia delle Convenzioni che regolano i rapporti tra i popoli, in particolare della Legge del mare delle Nazioni Unite. Questo atteggiamento fa sì che tra i fedeli cristiani si ingeneri una grande confusione tra l'applicazione del diritto umanitario del sacrosanto soccorso in mare e l'altrettanto sacro ed indissolubile dovere dello Stato di far rispettare l'ordinamento giuridico internazionale e l'ordine pubblico nelle acque territoriali. Ma non sempre le linee guida sull'immigrazione del Vaticano sono state quelle di Papa Bergoglio. Wojtyla ha più volte detto: «L'immigrazione stimola la società europea e le sue istituzioni alla ricerca di un giusto ordine e di modi di convivenza rispettosi di tutti, come pure della legalità, in un processo d'una integrazione possibile». Integrazione possibile, ma ad alcune condizioni: «È responsabilità delle autorità pubbliche – scriveva Giovanni Paolo II – esercitare il controllo dei flussi migratori in considerazione delle esigenze del bene comune. L'accoglienza deve sempre realizzarsi nel rispetto delle leggi e quindi coniugarsi, quando necessario, con la ferma repressione degli abusi». Per Papa Wojtyla era inoltre necessario «salvaguardare il patrimonio culturale proprio di ogni nazione». In mare tutti indistintamente devono rispettare le leggi concordate tra le parti se si vogliono evitare morti e disastri. Lasciamo dunque che del problema se ne occupi chi sa andare per mare, per buona pace delle omelie della domenica, dei dorati corridoi ginevrini dell'Unhcr o delle commedianti dichiarazioni del Presidente del parlamento europeo. *Ammiraglio di divisione (aus)

Dai blog