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Agente egiziano ammette: "Regeni lo abbiamo preso noi"

Svolta dopo le dichiarazioni di un supertestimone

Davide Di Santo
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Giulio Regeni fu ucciso dai servizi di sicurezza egiziani perché creduto una spia inglese. A dirlo, questa volta, non sono gli inquirenti italiani che indagano sul rapimento e la morte del giovane ricercatore italiano, ma un supertestimone che ascoltò una conversazione proprio tra uno degli agenti responsabili del rapimento e un altro poliziotto africano. Il funzionario indicato dal testimone, scrive il Corriere della sera, è uno dei cinque che la Procura di Roma ha iscritto sul registro degli indagati. Secondo gli inquirenti ci sono indizi sufficienti a ipotizzare il coinvolgimento del generale Sabir Tareq, del colonnello Uhsam Helmy, del maggiore Magdi Ibrahim Abdelal Sharif, dell'assistente Mahmoud Najem e del colonnello Ather Kamal, all'epoca capo della polizia investigativa del Cairo e coinvolto anche nel depistaggio con cui si voleva chiudere il caso addossando ogni responsabilità a una banda di criminali comuni, uccisi in un presunto conflitto a fuoco. Le ammissioni, sottolinea Repubblica, furono fatte durante un pranzo in cui il funzionario discuteva di questioni legate alla lotta interna all'opposizione politica dell'Egitto. E non si accorse di essere ascoltato dal testimone che seduto al tavolo accanto. A un certo punto l'egiziano comincia a parlare del "ragazzo italiano": racconta dei pedinamenti e delle intercettazioni telefoniche di cui era stato oggetto fino al 24 gennaio del 2016, vigilia della sua scomparsa; e aggiunge di essere stato protagonista dell'operazione che lo avrebbe fatto scomparire. "Ci convincemmo che era una spia e scoprimmo che il 25 gennaio doveva incontrare una persona che ritenevamo sospetta", avrebbe detto l'ufficiale nella ricostruzione fatta dal testimone. "Per questo entrammo in azione quel giorno". Stando alla nuova testimonianza, quel che accade a Giulio è proprio l'ufficiale egiziano a raccontarlo al suo interlocutore: "Caricammo il ragazzo italiano in macchina e io stesso lo colpii piu' volte duramente al volto". 

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