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L'antimafia del Papa

È evidente (per certi versi scontato) non si può essere mafiosi e cristiani

Alessandro Meluzzi
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Un papa Francesco, grandemente ispirato dallo Spirito Santo, ha ripreso in Sicilia un tema che fu caro a Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, dicasi una lotta implacabile, che si svolge innanzi tutto all'interno della coscienza, contro la mafia e la mafiosità. L'appello è evidente, e per certi versi persino scontato: non si può essere contemporaneamente cristiani e mafiosi. Tale e tanta è l'opposizione tra una rappresentazione, quella mafiosa, del potere che antepone al denaro e alla forza ogni altro elemento di umanità, e il cristianesimo che, come Bergoglio ha ricordato, è soprattutto amore, donazione e umiltà. Don Puglisi, che lo stesso Bergoglio ha tenuto a ricordare, è stato testimone di fatti piuttosto che di parole, e di azioni piuttosto che di associazionismi politici. Quel sorridente sorriso, prima del martirio, ricordato persino dal suo carnefice, ci fa meditare sul senso più profondo che unisce - nell'ispirazione cristiana della vita - la croce e la resurrezione col senso della vita. Ma questo appello, in un'Italia globalizzata e squassata da problemi di una certa rappresentazione del mondo, assume un significato ulteriore, a mio modo di vedere. Fu il grande Rocco Chinnici, primo creatore del pool anti-mafia, nel quale brillarono le azioni di Falcone e Borsellino, a ricordare che in Italia la trattativa Stato-mafia era inizia a cavallo dell'Unità nel 1860. Senza l'apporto della mafia a Marsala e a Calatafimi le vicende militari sarebbero andate ben diversamente, senza i rapporti tra capitale inglese e le cosche, laddove si producevano brandy e marsala, si sarebbero strette alleanze ben diverse. Alleanze tra mafia e potere che si sono manifestate in più occasioni della storia patria, come quando il ministro degli Interni, Liborio Romano dei Borboni, mise i capi della camorra ai vertici della polizia ai tempi del governatorato di Garibaldi a Napoli prima di Teano, quando indossarono le coccarde mandate da Cavour sui loro cappelli da camorristi. Insomma, la storia italiana si è intrecciata strettamente a quella della mafia fino a Cassibile, al momento dell'armistizio, quello sventurato 3 settembre del 1943, fino alle questioni che hanno segnato ciò che accadde in Italia nel 1993, quando la mafia fece saltare con un duplice messaggio alla Chiesa e alla massoneria, contemporaneamente San Giovanni in Laterano, San Giorgio al Velabro e via dei Geogorfili nell'illuminata e illuminista Firenze. Che oggi lo dica il Papa è molto importante, così come il richiamo all'essenzialità del messaggio evangelico, ma anche ad una certa brevità delle omelie. Omelie che devono essere centrate sull'esegesi della parola di Dio, che devono avere nel cuore il vangelo e non la politica politicante. Questo appello all'essenzialità evangelica di un Bergoglio positivamente profetico deve far riflettere tutti noi sul fatto che la mafia è un'istituzione storica e meta-storica: nella sua dimensione meta-storica attraverso i tempi oggi assume la forma di quel grande capitale internazionale che decide di fare della Sicilia un deposito di profughi e dell'Italia una colonia estromessa dalle linee dello sviluppo europeo. Il papa che parla con forza contro la mafia e che richiama i preti alla liturgia è qualcosa di eccezionalmente positivo, anche perché restituisce a questo paese squassato da preti politicanti una dimensione del potere che fino a ieri è stata subalterna alla mafia, prima di quella dei boss di Brancaccio o Corleone e poi alla mafia-piovra con la testa in grandi concentrazioni finanziarie e i tentacoli nella politica locale e negli apparati deviati dello Stato e della Chiesa. Il papa, testimone dell'anti-mafia e del Vangelo, è per tutti noi un grande presidio. Spero che anche questa piccola predica, questa volta a favore di un criticatissimo Bergoglio, non sia stata troppo lunga. Ma il Vangelo è innanzi tutto libera ricerca della verità, che -sola- ci rende liberi.  

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