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Cosa Nostra dietro il metano in Sicilia e in Abruzzo

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La protezione di Provenzano, Bagarella e Messina Denaro e l'appoggio del sindaco Ciancimino per un business su 72 concessioni in altrettanti comuni

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Un ingente patrimonio costituito da società, attività commerciali, immobili di pregio e disponibilità finanziarie per un valore totale di 48 milioni di euro è stato sequestrato dalla Guardia di Finanza di Palermo. Le indagini, spiegano alle Fiamme Gialle, «hanno svelato le infiltrazioni di Cosa Nostra e dei suoi leader storici, fra cui Bernardo Provenzano, Leoluca Bagarella e Matteo Messina Denaro, negli affari delle società di un gruppo imprenditoriale che ha curato, a cavallo fra gli anni '80 e '90, la metanizzazione di intere aree del territorio siciliano». Le dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia - fra cui Giovanni Brusca, Vincenzo Ferro, Antonino Giuffrè - ed il contenuto di alcuni pizzini sequestrati nel tempo a boss mafiosi e l'esame di decine di contratti di appalto e sub appalto hanno permesso di ricostruire la "storia economico finanziaria" del gruppo imprenditoriale. «Ingenti risorse investite in un business che si è presto sviluppato grazie alla protezione di Cosa Nostra e ad appoggi politici - in particolare dell'ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino - arrivando ad ottenere - sottolinea la Guardia di Finanza - ben 72 concessioni per la metanizzazione di Comuni della Sicilia e dell'Abruzzo, i cui lavori sono stati in più occasioni affidati in subappalto ad imprese direttamente riconducibili alla criminalità organizzata». Tra i beni posti sotto sequestro, in Sicilia e Sardegna, società immobiliari e di produzione di metalli preziosi, imprese agricole, attività commerciali di prodotti petroliferi, combustibili ed oggetti d'arte, appartamenti, uffici, locali affittati ad importanti aziende e catene commerciali - molti dei quali situati nel centro di Palermo - immobili di pregio, amplissimi locali commerciali, opifici industriali, autorimesse, magazzini e disponibilità bancarie. Le indagini «si sono concentrate in primo luogo sulla genesi del gruppo, costituito negli anni '80 da un dipendente pubblico, successivamente divenuto «imprenditore», grazie all'investimento di ingenti risorse finanziarie di dubbia provenienza e comunque non giustificate dalle sue disponibilità, che si è presto sviluppato grazie alla protezione dell'organizzazione di Cosa Nostra e ad appoggi politici - in particolare dell'ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino (nella foto)- arrivando ad ottenere ben 72 concessioni per la metanizzazione di Comuni della Sicilia e dell'Abruzzo, i cui lavori di realizzazione -rilevano alla Guardia di Finanza - sono stati in più occasioni affidati in sub appalto ad imprese direttamente riconducibili a soggetti con precedenti specifici per mafia e ad altre comunque vicine alla criminalità organizzata, in una logica di costante e reciproco vantaggio fra il gruppo e l'organizzazione criminale». L'indagine della procura della Repubblica di Palermo e delle Fiamme Gialle «si è poi estesa alle operazioni di cessione dell'intero pacchetto azionario e del patrimonio delle società, avvenuta nel 2004, per un corrispettivo di circa 115 milioni di euro, che ha permesso agli eredi dell'imprenditore di «ripulire» gli ingenti proventi acquisiti grazie all'appoggio di Cosa Nostra nella costituzione di nuove società, nell'avvio di fiorenti attività commerciali e nell'acquisto di beni immobili a Palermo e nella provincia di Sassari, tra appartamenti, locali commerciali, opifici industriali, ville ed immobili di pregio, nonchè nella formazione di ingenti posizioni finanziarie». Sulla base dei risultati dell'indagine, la Procura della Repubblica di Palermo ha richiesto alla Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale del capoluogo siciliano l'applicazione del sequestro del patrimonio societario, immobiliare e finanziario attualmente nella disponibilità della famiglia dell'imprenditore, «nel tempo accumulato grazie ai rapporti di reciproco vantaggio instaurati con Cosa Nostra, quantificato in 48 milioni di euro».

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