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Hannoun sfida lo Stato. Prove di partito islamico, parte la raccolta firme

Foto: Lapresse

Giulia Sorrentino
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Prove tecniche di partito islamico con Mohammad Hannoun come leader? Beh, c’è un ennesimo atto da parte dei fedelissimi del giordano filo Hamas, che sfida il Viminale e lo Stato italiano addirittura con una petizione. Gli è stato dato il foglio di via dalla Questura di Milano proprio perché aveva inneggiato alla cosiddetta legge del taglione, secondo cui «chi uccide va ucciso». Non contento, sabato ha parlato da Sesto San Giovanni della pena di morte, causando il caos non solo all’interno del centrodestra, ma anche da parte di chi, nell’opposizione, non ha alcuna intenzione di rimanere inerme davanti al crescente fondamentalismo islamico. E allora i leader di Italia Viva Matteo Renzi e quello di Azione Carlo Calenda, anche con Lele Fiano di Sinistra per Israele e Piero Fassino del Pd, si sono discostati dalle affermazioni del numero uno dell’Api, secondo cui «i collaborazionisti sono una unità criminale appartenente all’esercito israeliano. Per cui sono peggio dei soldati israeliani, questa è la loro qualifica. Questi collaborazionisti hanno ucciso con le loro mani sporche di sangue decine e decine di bambini e donne gazawi. Passiamo al dopo: nella Striscia di Gaza e in Palestina, come nello statuto dell'Olp, di al Fatah, del fronte popolare, e lo stesso statuto palestinese, c'è la pena di morte, c’è. Non l’ho inventata io, nello statuto palestinese c'è la pena di morte, come c'è negli Stati Uniti e in alcuni stati, ma in Italia non c'è, per cui non possiamo chiedere l'esecuzione di un collaborazionista, perché non c'è la pena di morte in Italia, a Gaza c'è».

 

 

Ecco, quindi, che dopo le misure prese nei suoi confronti, spunta la protesta dal titolo «Solidarietà a Mohammad Hannoun. Basta repressione contro chi sostiene la Palestina». In cui si chiede che «sia revocato immediatamente il foglio di via contro Mohammad Hannoun. Siano archiviate le accuse infondate a suo carico. Sia garantita la libertà di manifestare e di esprimere solidarietà alla Palestina, senza repressione né criminalizzazione. Siamo al fianco di Mohammad Hannoun e di tutte e tutti coloro che si battono per una Palestina libera e decolonizzata, e per un mondo senza oppressione né ingiustizia». Petizione rilanciata anche da «Assopace Palestina», che aveva già di recente espresso solidarietà a colui che “anima” le piazze ProPal. Un’associazione gestita da Luisa Morgantini, già vicepresidente del Parlamento Europeo, che oggi vediamo spesso al fianco della pentastellata Stefania Ascari o di Nicola Fratoianni leader di Avs. Persone che non hanno condannato le esternazioni di Hannoun. Nemmeno quelle in cui, secondo quanto sostenuto dalla stessa Questura, ha inneggiato pubblicamente all’odio davanti a centinaia di persone. Un fatto che allarma soprattutto per il rischio emulazione che può configurarsi. Ma sembra che ci sia chi non si faccia proprio il minimo problema a mostrarsi con chi è ritenuto dagli Usa una propaggine di Hamas in Italia che, con le sue finte associazioni caritatevoli, avrebbe finanziato addirittura l’ala militare di Hamas.

 

 

Non hanno avuto remore la Ascari, Marco Furfaro del Pd, l’ex grillino Alessandro Di Battista, Laura Boldrini, il pentastellato Gaetano Pedullà. Così come non le hanno avute Marta Collot di «Potere al Popolo» e il sindacato di base Usb: si sono riuniti con lui a Piacenza in un hotel a tre stelle per una conferenza permanente i cui temi erano Palestina, riarmo europeo, salari. Da lì il dubbio: ma Hannoun, oggi "martire" di un sistema ingiusto, che cosa farà "da grande"? Il suo futuro è quello della "causa palestinese" o c’è dell’altro? Dopo il caso della lista islamica presentata a Monfalcone, dopo una Francia e un Belgio islamizzati, viene difficile escludere che ci possano essere altre mire. E che siano politiche. Un’ipotesi che il centrodestra non ha gradito, ritenendo che non possa essere Hannoun l’interlocutore per un simile progetto.

 

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