ProPal, dalle moschee alle piazze non si fermano. Nel mirino ora c'è Udine per Italia-Israele
Mentre si celebra il cessate il fuoco tra Israele e Hamas, con il rilascio degli ostaggi e l'entrata degli aiuti umanitari nella Striscia di Gaza, per i movimenti ProPal la parola d’ordine é continuare. La macchina della mobilitazione, infatti, non si ferma e Udine sarà una città blindata. La partita di calcio Italia-Israele, valida per le qualificazioni ai mondiali 2026 in programma domani allo stadio Friuli, è il nuovo obiettivo. Il «Comitato per la Palestina-Udine» da giorni ha chiamato a raccolta i militanti. Sul profilo social gira una mappa simile alla piantina di una strategia che si delinea in diverse tattiche con percorsi, punti di concentrazione e ordini di movimento. La mappa è divisa in cinque blocchi: la comunità palestinese con comitati pro Pal, famiglie e singoli; lo spezzone studentesco; le squadre popolari; «realtà aderenti» e «realtà non aderenti». E qui il linguaggio dice tutto. Non è folklore, è lessico da manuale di piazza. Gli «aderenti», infatti, sono la spina dorsale dell’antagonismo: militanti strutturati, gente che vive di assemblee, volantini e scontri, pronti a muoversi come reparti paramilitari. I «non aderenti», invece, sono la massa di manovra: simpatizzanti, studenti, ambientalisti, curiosi di lotta che si uniscono per un giorno, prestando al movimento la forza dei numeri e l’alibi della spontaneità. I primi organizzano, i secondi coprono. È il doppio livello che da anni consente ai movimenti estremi di restare «presentabili».
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Domani, dunque, dentro quella marea eterogenea si muoveranno gli stessi volti visti in cortei studenteschi, centri sociali e marce per Gaza che da un anno incendiano le città. Sempre gli stessi slogan, le stesse bandiere, gli stessi tamburi. Solo la cornice cambia: stavolta è lo stadio Friuli. La tensione, dunque, è altissima e il livello di allerta 4. Per questo la squadra di Israele probabilmente non atterrerà all’aeroporto Ronchi dei Legionari, ma in un aeroporto lontano (forse Venezia o addirittura la Slovenia) e vivrà tre giorni in isolamento, scortata ventiquattro ore su ventiquattro anche dai servizi di sicurezza interna israeliani. Mentre a Roma oggi è prevista una manifestazione sotto al sede della Figc. Intanto, attorno allo stadio di Udine sarà creata una zona rossa. Una cintura di transenne e controlli a cerchi concentrici filtrerà l’accesso dei tifosi, stimati in appena 5.000 su 25.000 posti disponibili. Elicotteri sorvoleranno l’area, parzialmente interdetta al traffico così come quelle limitrofe a nord della città. Le disposizioni, confermate dopo il Comitato per l'ordine e la sicurezza, sono scattare alle 12 di sabato e resteranno in vigore fino al termine dello smontaggio delle strutture di contenimento mercoledì 15.
Il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, ha chiarito: «Assicureremo una cornice di sicurezza molto importante, ma non si parla di una regia dietro l'evento, ma solo di garantire che tutto si svolga in serenità e sicurezza». Il Comitato per la Palestina di Udine ha confermato la mobilitazione prevista per domani alle 17:30 con l’arrivo in città di circa 10.000 manifestanti. Nella nota ufficiale, gli organizzatori ribadiscono che «un cessate il fuoco non basta» e che «la giustizia si raggiungerà solo con la fine dell’occupazione israeliana». Il comitato annuncia inoltre il boicottaggio della partita, sostenendo che «lo sport non può essere neutrale di fronte all’oppressione, dev’essere dalla parte della giustizia, non del genocidio e dell’occupazione». L’obiettivo, quindi, è il boicottaggio di Israele a prescindere da ciò che accade a Gaza. Un progetto portato avanti, da anni, dal movimento Bds, Boicottaggio Disinvestimento Sanzioni. Ma la vera domanda é chi muove davvero queste piazze. Perché dopo il cessate il fuoco, dopo la tregua, il furore continua? Da tempo, le Intelligence europee lo ripetono: dietro i cori e le bandiere non si muove l’indignazione popolare, ma una rete ben più vasta. Un ingranaggio che parte dalle moschee e arriva alle piazze, costruendo consenso, reclutando militanti, trasformando la fede in strumento politico. È il metodo della Fratellanza musulmana, il più antico e organizzato movimento islamista del mondo, che in questo frangente trova l’appoggio del mondo antagonista interessato a ottenere visibilità con campagne antigovernative, antifasciste e anticapitaliste. Un connubio pericoloso che riesce a portare in piazza migliaia di persone e frange violente del mondo antagonista, anarco-insurrezionalista ed eversivo.
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