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Il piano di Macron e la fuga dall'Eliseo, grandi manovre per il dopo Ursula: il retroscena di Bisignani

Luigi Bisignani
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Caro direttore, bye bye Ursula e Macron; calato il sipario sul Festival di Cannes, in Europa va di moda l’horror. E con gli ultimi turbillon, dopo le elezioni europee possono svilupparsi nuove trame con finali inaspettati come l’adieu definitivo ad Ursula von der Leyen e ad Emmanuel Macron dall’Eliseo. Con il Napoleoncino parigino, ormai alle strette, che sta tentando il tutto e per tutto mostrando persino i muscoli nucleari, terrorizzato com’è di essere disarcionato da Marine Le Pen.

Ma prima occupiamoci della von der Leyen, la scorsa settimana alle prese con il processo per il "Pfizer Gate" per i suoi sms. La presidente in scadenza della Commissione europea è stata usata e buttata via come un kleenex da tutti in Europa. La sua rielezione, a lungo data per scontata, è oggi una mission impossible.

Il motivo principale è che Ursula ha perso la protezione di Angela Merkel che nel 2019, insieme a Macron, la mise a capo dell’esecutivo Ue, sacrificando l’eterna promessa del Ppe, Manfred Weber, il quale adesso non vede l’ora di vendicarsi. Negli anni del suo mandato europeo, von der Leyen ha sottovalutato il peso dei partiti, errore singolare per un’esponente di peso come lei dei cristiano-democratici tedeschi. Evidentemente si è trovata più a suo agio tra i mandarini di Bruxelles, che conosce fin dall’infanzia, il padre, Ernst Albrecht, divenne uno dei primi capi dell'Antitrust europea.

 

Una volta capito l’errore, era tardi ed ha cercato di porvi rimedio corteggiando la nostra Giorgia, convinta che le portasse in dote una base forte di voti. E dire che le sarebbe bastato mettere il naso fuori da Bruxelles. A Roma, infatti, ha bivaccato per mesi Udo Zolleis, il corpulento emissario bavarese braccio destro, guarda caso, proprio di Manfred Weber. Il capo dell’unità strategica del Ppe era nella Capitale per aprire canali con la Meloni, ma pare non abbia disdegnato frequentare anche le taverne romane, ripetendo a ogni piè sospinto che, sì, Ursula è sacrificabile. Uno scenario divenuto sempre più concreto dopo che il conclave del Ppe, riunitosi a Bucarest, ha accordato una benedizione a dir poco tiepida a Ursula; la quale ora teme l’ascesa del brillante e molto patrizio premier greco Kyriacos Mitsotakis o della più mediocre, ma assai ambiziosa, maltese Roberta Metsola, da sempre "in love" con Antonio Tajani.

Tornando a Giorgia, per un lungo periodo ha fatto coppia fissa con von der Leyen per più ragioni: assicurarsi il sostegno della presidente della Commissione Ue sui fondi Pnrr, mostrare di avere leadership in Europa e, last but non least, dare fastidio a Macron, che decisamente non ama la tedesca. Ma adesso Giorgia e Ursula, nonostante le ultime fusa di quest’ultima, non si frequentano più molto. Anzi, meno di dieci giorni fa, quando la presidente della Commissione Ue è atterrata a Roma, la leader di Fratelli d’Italia non ha trovato neanche cinque minuti per salutarla. Cosa è successo nel mentre? La possibile discesa in campo di Mario Draghi per un posto in Europa ha costretto Giorgia ad essere molto cauta nelle frequentazioni con l’altra bionda. Se Macron infatti proponesse Mario Draghi, per Ursula non ci sarebbe più grande spazio.
E anche se il posto offerto a Draghi fosse quello di presidente del Consiglio europeo, SuperMario accetterebbe solo se a capo della Commissione andasse un tedesco di quelli che «Draghi chiama e lui obbedisce». In stile Alexa, com’era con Daniele Franco al Mef quando Draghi era a Chigi. Ma anche il nostro ex premier sottovaluta, esattamente come Ursula, il peso dei partiti. Lo si è visto nel suo anno e mezzo di governo in Italia e ora rischia un bis Quirinale-flop.

Ed è proprio qui che torna in gioco Macron: atterrito dall’ascesa di Marine Le Pen, che nel 2027 potrebbe scalzarlo, sta seriamente meditando di lasciare l’Eliseo per Bruxelles, ora che anche i poteri forti finanziari l’hanno abbandonato. E pare punti proprio al ruolo per cui pubblicamente propone Draghi: diventare presidente del Consiglio Ue, con il rango formale di Capo di Stato. Lì, infatti, non contano i voti presi alle elezioni (il partito di Macron ha la metà di quelli di Meloni che di Le Pen), bensì il voto a maggioranza qualificata dei capi di Stato e di governo dei Paesi Ue, dove l’asse franco-tedesco è ancora molto solido.

 

Olaf Scholz, forse anche per fare un dispetto a Giorgia che non ha mai amato, sosterrebbe l’amico gallico Emmanuel. Se questo scenario si realizzasse, deve tremare anche Christine Lagarde, il cui mandato alla Bce scade nel 2027. Meloni, capita l’antifona, per dettare i prossimi equilibri europei in chiave anti Macron e diventare la regina delle destre europee, come propugnato ieri dal Times, ha aperto perfino a Marine Le Pen. E questa volta la leader dell’estrema destra francese potrebbe portare in Parlamento Ue persino più deputati della premier italiana.

L’House of Cards delle tre cariche presidenziali Ue (Consiglio, Commissione e Parlamento) è cominciata. E Giorgia punta ad essere decisiva, vista la crisi d’identità di tutti i suoi colleghi che arriveranno disorientati e malconci al summit pugliese del G20. Il barese Checco Zalone descriverebbe così i grandi del mondo a Borgo Egnazia: «Biden più de là che de qua, Bergoglio in carrozzina, a Macron gli resta giusto Brigitte, la moglie, l’inglese Sunak che partecipa ma dopo una settimana scompare perché si vota e... perde, il tedesco mezzo zoppo, insomma un film horror. Speriamo che almeno gradiscano orecchiette con cime di rapa e burrata». A pancia piena si ragiona.

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