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Stretta sulle moschee, la sfida dei musulmani: “Pregheremo in strada”

Francesca Musacchio
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È stata già definita «legge anti-moschee» dalla comunità islamica italiana che si è mobilitata per contrastarla. La proposta di legge a prima firma del capogruppo di FdI Tommaso Foti,che modifical ’articolo 71 del codice del Terzo settore, in materia di compatibilità urbanistica dell’uso delle sedi e dei locali impiegati dalle associazioni di promozione sociale per le loro attività, è passata alla Camera. E mentre si attende il verdetto del Senato, l’Islam italiano è in subbuglio perché teme la chiusura delle moschee non autorizzate. Tra garage, scantinati e cantine, solo a Roma i luoghi di culto censiti sono 50. Ma secondo alcune fonti, ci sarebbe un sommerso che porterebbe il numero almeno al doppio. E se la legge venisse approvata anche in Senato, proprio le centinaia di moschee che si trovano in Italia in luoghi non idonei per destinazione d’uso, saranno costrette a chiudere.

 

 

«Si tratta di una legge iniqua, anti-costituzionale e discriminatoria - spiega a Il Tempo Yassine Lafram, presidente dell’Ucoii, l’Unione delle comunità e organizzazioni islamiche in Italia -. Lo vogliamo dire chiaramente, è un attacco alla libertà di culto come sancito dall’art. 19 della Costituzione. È ovvio che ci sia la volontà di colpire la nostra comunità. Nella pdl anti-moschee, a prima firma Foti, si parla di quelle confessioni religiose che non hanno stipulato un Intesa con lo Stato, cosa che chiediamo da oltre 30 anni. Questa maggioranza è evidentemente miope, non considera che in Italia vi sono quasi 3 milioni di musulmani (il 5% della popolazione) che hanno il diritto di professare la loro fede. Non è applicando una legge che di fatto potrebbe andare a chiudere il 90% dei luoghi di culto islamici che si risolvono le potenziali criticità urbanistiche degli stessi. Si creerebbe un problema ancor maggiore, un problema di ordine pubblico. I musulmani non smetteranno di credere in Dio e di pregare, se non lo potranno fare nei loro centri, lo faranno per strada».

 

 

Per domenica 19 maggio, proprio Ucoii ha chiamato a raccolta tutti i centri islamici d’Italia per decidere come affrontare insieme la «legge anti moschee». L’intenzione è quella di chiedere lo «stop dell’iter della legge così come formulata, l’apertura di un tavolo serio e costruttivo con il Governo al fine di affrontare le situazioni prioritarie ed urgenti, e non ultimo il via libera da parte del Consiglio dei Ministri della personalità giuridica per l’Ucoii, passaggio formale ma non ancora calendarizzato da parte del Governo», aggiunge Lafram.

Ma i problemi dell’Islam italiano nascono da lontano. Intanto, manca l’Intesa con il Governo italiano, che faciliterebbe anche la gestione dei luoghi di culto. Ma la comunità islamica italiana non ha un referente unico. E nei decenni, complice anche il disinteresse della politica, i luoghi di culto si sono moltiplicati. Secondo Lafram, l’Intesa tra islamici e governo è mancata a causa della «volontà politica dei governi che si sono susseguiti. La questione della rappresentatività è una scusa ormai superata, anche da coloro che utilizzano l’Islam come uno spauracchio. Abbiamo presentato la prima bozza di Intesa nel 1991 e negli anni, nonostante i vari tavoli e consulte al ministero degli Interni, non siamo riusciti ad ottenere granché. L’Ucoii è senza dubbio l’associazione che rappresenta la maggior parte dei centri islamici in Italia e anche quelli che non rappresenta potrebbero comunque godere di benefici a seguito di un’Intesa con lo Stato. I tempi sono maturi, siamo una comunità laboriosa, che paga le tasse, le nostre comunità territoriali sono parte integrante della popolazione scolastica, circa un milione sono cittadini italiani».

 

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