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Passaportopoli, "sistemiamo l'onorevole": le minacce per le false cittadinanze

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Dario Martini
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Lo scandalo Passaportopoli scoperchiato da Il Tempo assume contorni preoccupanti. «Sistemiamo l’onorevole, va messo a posto, perché lui con il Venezuela non c’entra nulla». Poche parole, inquietanti, ripetute più volte da alcune persone molto conosciute in Sud America e attive nel Paese governato da Nicolas Maduro. L’onorevole finito nel mirino è il deputato Andrea Di Giuseppe, di Fratelli d’Italia. La sua colpa? Aver presentato una denuncia alla Procura di Roma scoperchiando così il vaso di Pandora sotto il quale si nasconderebbero migliaia di passaporti sospetti, con cittadinanze nuove di zecca rilasciate a persone che di italiano non hanno nulla. Pratiche dietro cui si nasconderebbe la complicità di alcuni piccoli Comuni del centro Italia da cui sarebbero saltati fuori alberi genealogici "taroccati". Emblematico è il caso di un gruppo di libanesi -venezuelani che hanno appena ottenuto la cittadinanza italiana, uno dei quali è un importante imprenditore legato al regime di Maduro a cui una ventina di anni fa gli Stati Uniti sospesero il visto. L’esposto presentato da Di Giuseppe porta la data del 9 gennaio scorso e tira in ballo il Consolato di Caracas.

 

 

La denuncia si concentra sul «rilascio di passaporti da parte delle autorità consolari italiane a beneficio di soggetti a vario titolo residenti in Venezuela (ma anche in Cile, Perù e Santo Domingo), non avendo titolo o, comunque, sulla base della documentazione pervenuta irritualmente mediante soggetti delegati e senza la doverosa sottoscrizione delle istanze in originale dinanzi al personale all’uopo abilitato dell’autorità consolare». Tutto ciò avviene in un Consolato che negli ultimi quattro mesi si sarebbe contraddistinto per una mole "mostruosa" di pratiche lavorate: oltre settemila passaporti. Tanto che la Farnesina a metà aprile ha inviato un team di ispettori per fare piena luce, squadra a cui si sono aggiunti anche carabinieri e finanzieri. All’indomani dell’inchiesta de Il Tempo, il ministero degli Esteri ha fatto sapere che «proseguono in queste settimane le ispezioni disposte dal ministro Tajani nelle Ambasciate e negli Uffici consolari di alcuni Paesi dell’America meridionale (Argentina, Brasile, Uruguay e Venezuela), volte ad accertare la corretta gestione delle pratiche amministrative e consolari, in particolare la regolarità delle procedure legate al riconoscimento delle cittadinanze italiane».

 

 

Insomma, proprio quanto denunciato da Di Giuseppe. Oltre ad aver ficcato il naso in questo ginepraio, il deputato di FdI viene minacciato anche per un altro motivo: chi sta dietro a questo malaffare, e magari ci lucra anche, non accetta che Di Giuseppe si interessi di questioni che riguardano l’America Latina, dal momento che lui è eletto in Nord America. In pratica la sua è considerata un’invasione di campo. Ma è proprio grazie alla sua attività che funzionari e diplomatici onesti oggi capiscono di avere una sponda politica su cui far affidamento. Altrimenti le magagne non verrebbero a galla. Con questo governo, e con Tajani alla guida della Farnesina, il vento è cambiato. Il suo dicastero, infatti, fa sapere che «le risultanze dei controlli, effettuati da personale del Ministero coadiuvato da personale della Polizia di Stato, dell’Arma dei Carabinieri e della Guardia di Finanza su numerosi fascicoli e atti amministrativi, e le relazioni finali della delegazione ispettiva, saranno come di consueto messe a disposizione delle autorità competenti». Tradotto: le Procure sono pronte ad attivarsi.

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