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Università, ecco il manuale della guerriglia: dagli Usa il kit per studenti ribelli

Francesca Musacchio
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Tattiche di protesta e tattiche per mettersi al sicuro evitando l’arresto e non solo. La galassia delle proteste pro-Palestina nelle università americane ha fatto il salto di qualità, arrivando anche in Europa e in Italia. Dalle posizioni da tenere durante le proteste fino all’individuazione dei target, i manuali di Palestine Action US sono ormai il testo «consigliato» per chi organizza proteste negli atenei. Come creare barriere fisiche o «stack», cioè file di persone che si tengono tra loro e avanzano verso un obiettivo specifico. Oppure, più semplicemente, come rendere difficile essere afferrati o arrestati dalla polizia. Dopo il «successo» di «Inondare i cancelli: escalation», recepito in Italia anche dal mondo anarchico ad esempio (anche se con prese di distanza sul concetto di leadership), l’organizzazione che si definisce «una rete di azione diretta per lo smantellamento del sionismo e dell’imperialismo statunitense», divulga sui social una sorta di manuali per la guerriglia durante manifestazioni, sgomberi, scontri vari o altre situazioni che potrebbero crearsi nel fronteggiare le forze dell’ordine.

 

 

Le proteste pro-Palestina nei college americani e negli atenei europei, dunque, da manifestazioni a favore di Gaza e della fine del conflitto, si sono trasformate in azioni contro il nemico sionista, che deve essere debellato. Nessuna richiesta di pace, solo il boicottaggio di Israele e di tutti coloro che, a vario titolo, lo appoggiano o hanno con esso rapporti. E se il dubbio di una regia esterna all’interno dei movimenti pro-Palestina si era insinuato già nelle scorse settimane, adesso emerge qualche elemento in più a favore di questa tesi. Ad esempio, sulla presenza di infiltrati tra le fila degli studenti, in Usa come in Italia, Palestine Action US è piuttosto chiaro a riguardo. In un paragrafo del manuale intitolato «Aprire i portoni dell’università», si invitano gli organizzatori delle occupazioni nei campus ad «aprire i campus alla comunità e rifiutare la distinzione tra studenti e agitatori esterni. Il movimento popolare per la Palestina ha attualmente le proprie basi nelle università, ma gli studenti non sono gli unici leaders, e i non-studenti posseggono una riserva di conoscenza ed esperienza per espandere la lotta oltre i campus. Dobbiamo creare le nostre 'culle popolari' di resistenza!». Porte aperte, dunque, a chi ha esperienza nelle rivolte.

 

 

Nel caso dell’Italia, la presenza di anarchici e antagonisti nelle manifestazioni pro-Palestina, anche fuori dalle università, è già emersa. E proprio gli anarchici, attraverso i loro siti d’area, divulgano il materiale dell’organizzazione, nata nel 2020 in Gran Bretagna e che ha compiuto numerose azioni contro la Elbit, l’azienda israeliana attiva nello sviluppo di tecnologie per il settore della difesa. «Riceviamo la traduzione in italiano di questo breve quanto denso contributo scritto da Palestine Action US - scrivono gli anarchici -. Si tratta di un testo davvero notevole, per l’ordine dei problemi, per la lucidità nel porli e per la radicalità delle conseguenze da trarne. Sembra provenire da un’altra epoca storica, sospesa tra il passato e il futuro, a conferma della potenza di quanto sta accadendo dentro e fuori i campus statunitensi. Non è certo tutto condivisibile (ad esempio il concetto di leadership), ma è uno stimolo assai prezioso da diffondere. L’assedio di Gaza è un’anteprima di quello che la classe dominante ha pianificato per tutti gli oppressi e le oppresse se noi non resistiamo». Una rete comune globale, dunque, che partendo da quello che accade a Gaza, si unisce in nome dell’antiamericanismo e dell’antisionismo.

 

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