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Pfizergate, l'obiettivo è Ursula ma ora serve fare chiarezza. Il punto di Paragone

Gianluigi Paragone
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La questione Pfizergate è scomparsa dai radar dei giornali come se qualcuno avesse già capito che l’obiettivo non è la verità sul contratto con la multinazionale quanto la stessa Ursula von der Leyen. A onor del vero lo penso anch’io: la rivelazione dell’inchiesta da parte della procura che si occupa degli affari finanziari della Ue sembra più un pezzo di quell’impallinamento contro la presidente della Commissione Ue, cominciato con una «nomination» ballerina in seno al gruppo dei Popolari europei e proseguita con la denuncia formale del Parlamento europeo (firmata anche dal Ppe) contro la Commissione «colpevole» di aver sbloccato i fondi a favore dell’Ungheria di Orban.

Detto dunque che il vero obiettivo è politico sulla von der Leyen, resta una questione aperta sul principio di trasparenza legato a un business di quasi 20 miliardi. Ed è ciò che ho sempre richiamato tutte le volte che, in Senato o in tv, mi esponevo su questo fronte anche a costo di essere etichettato come negazionista o come «promotore dell’antiscienza» (come se invece preferissi chissà quali pratiche di magia...): senza piena conoscenza resta il giro d’affari. A maggior ragione perché chi andava a vaccinarsi firmava un foglio contenente, tra l’altro, il cosiddetto «consenso informato». Infine ponevo quest’altra questione di fondo, la stessa di alcuni altri eurodeputati: perché il parlamento non ha il diritto di conoscere pienamente ciò su cui deve deliberare?

 

Nulla, segreto. Nel mio piccolo ho fatto interrogazioni parlamentari al ministro Speranza: mai una risposta. Chi poi ottenne copia del contratto lo ebbe completamente annerito per rispettare i segreti industriali dell’accordo stesso. Ho anche denunciato la multinazionale per aver messo in commercio un medicinale imperfetto, cioè non testato, denuncia alla quale il pm ha chiesto l’archiviazione. A seguito della deposizione della responsabile commerciale di Pfizer, Janine Small, davanti al parlamento europeo in cui affermava che il vaccino messo in commercio «non è stato testato per prevenire l’infezione» (smentendo così clamorosamente l’allora premier italiano Mario Draghi che ebbe a dire: chi non si vaccina, si ammala e muore oppure contagia e fa morire) perché «nessuno lo avrebbe chiesto» e comunque «non c’era tempo», con l’avvocato Perillo ci siamo opposti alla richiesta di archiviazione. A settembre avremo l’udienza.

 

Ogni battaglia che ho portato avanti era all’insegna della piena trasparenza. Lo ripeto: non c’è scienza senza trasparenza e divulgazione di quelle informazioni che permettono il confronto tra tesi. E soprattutto senza la trasparenza sulla negoziazione si rischia che il business (stiamo parlando di un giro d’affari di quasi 20 miliardi solo con Pfizer perché la Ue tagliò fuori AstraZeneca dopo una mancata consegna di lotti) possa nascondere tentazioni pericolose. Era stato il New York Times a parlare di una «diplomazia personale» della von der Leyen con il ceo di Pfizer Albert Bourla e per questo chiese - prima di presentare una denuncia - di conoscere le interlocuzioni tra l’istituzione europea e il colosso farmaceutico. Da qui la famosa vicenda delle mail e degli sms misteriosamente spariti.

Adesso qualche spiraglio si è aperto, soprattutto per merito degli «altri». In Italia? Poco o nulla, come se fosse vietato squarciare il muro di gomma. L’altra settimana la premier Giorgia Meloni ha dichiarato che il governo vuole andare in fondo, capire e nel caso fare in modo che lo Stato italiano si assuma le responsabilità che si deve assumere. Per farlo bisogna garantire accesso agli atti e trasparenza. La Commissione, per essere concreti, quando parte? Con quale presidente? Con quali esperti? Avrà limiti o potrà indagare liberamente? Non è più tempo di meline.

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