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Ora legale, perché spostiamo le lancette: i pro e i contro di Tozzi e Rossi Albertini

Valentina Bertoli
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È giunto il momento di mettere mano agli orologi. Quelli meccanici, si intende. Torna l’ora legale e spostiamo le lancette avanti di un’ora. No, non bisogna solamente immaginare una scena alla Hugo Cabret, in cui lo scorrere dei minuti dipende dalla mano umana ed è legato a doppio filo alla cura della manutenzione. Siamo nel 2024 e smartphone, pc e tablet si aggiornano automaticamente. Noi, però, che sul tempo ci interroghiamo ogni giorno perché ne portiamo i segni e i sogni nel nome, abbiamo contattato due celebri divulgatori scientifici e abbiamo provato a inquadrare in un unico schema due visioni che fuggono l’una dall’altra e che si intersecano sul termine «inganno», tanto abusato e letterario quanto vitale. Il geologo Mario Tozzi da una parte; il fisico nucleare Valerio Rossi Albertini dall’altra. Un solo scopo: sciogliere i dubbi e cristallizzare i motivi per cui ogni primavera si risveglia una questione mai sopita del tutto e riparte una battaglia tra natura e convenzione, tra natura e cultura. Un coro di richieste a favore dell’abolizione dei cambi stagionali dell’ora si alza ed è vantaggioso seguire in parallelo valutazioni aderenti e insieme diverse per capire fino in fondo quali siano i vantaggi fisici, psicologici ed economici di un passaggio introdotto, abolito e ripristinato ripetutamente negli anni.

 

«I cicli naturali, alle nostre latitudini, sono ideali per l’uomo, per i sapiens. Dal punto di vista naturalistico, sarebbe meglio seguirli, non toccarli. È un piccolo inganno. Non c’è niente di vero. È un’alterazione cui ci sottoponiamo per avere in cambio un beneficio: arrivare alla sera senza che il sole sia già tramontato», esordisce il primo. In un gioco di canto e controcanto si inserisce il secondo: «L’invenzione dell’ora legale è un espediente puramente formale. Non cambia assolutamente niente per quanto riguarda i cicli naturali. Siamo noi che convenzionalmente ritardiamo le nostre attività, in maniera tale da sfruttare la luce, la maggiore durata della mattina rispetto alla sera. È una finzione, un mero inganno alla Leopardi. Il benessere non è legato esclusivamente al vantaggio economico, ma anche alla vivibilità della nostra giornata. Se possiamo stare all’aperto un’ora in più, è quasi come se fosse un’ora di vita che ci viene regalata». La «rivoluzione vera», spiega Tozzi, è scattata con l’arrivo della luce artificiale, che ha ridefinito i turni di lavoro e «alterato pesantemente i nostri cicli e i nostri ritmi». Condivide Rossi Albertini, che ammette «le ripercussioni» che la convenzione ha sui nostri «equilibri di vita». «In primavera, in estate e in parte dell’autunno il sole sorge presto, mentre mediamente noi stiamo dormendo e quindi non sfruttiamo quella luce. Perché esiste l’ora legale? D’inverno il sole sorge tardi. Se noi ritardassimo ulteriormente, usciremmo di casa che è ancora notte e dovremmo accendere le luci. Conviene anticipare», analizza il fisico.

 

Al netto di queste considerazioni, quali sono le posizioni dei nostri intervistati rispetto al mantenimento dell’ora legale per tutti i mesi dell’anno? «Neutrale» si dichiara Mario Tozzi, che anzi si sbilancia e la definisce «non una grande trovata». Più netta è la risposta di Valerio Rossi Albertini. «Io sono favorevole. Tutti aspettano l’ora legale per fare baldoria dopo il lavoro. Perché privarcene? È un’apparenza benefica», dice sorridendo. Croce o delizia, a seconda dei punti di vista, il passaggio è un toccasana per le nostre tasche. Secondo le stime di Terna, la società che gestisce la rete elettrica di trasmissione nazionale, durante i sette mesi di ora legale l’Italia risparmierà circa 90 milioni di euro, grazie a un minor consumo di energia elettrica pari a circa 370 milioni di kWh. «Si risparmiano carburanti ed emissioni climalteranti. Un certo senso ce l’ha, ma è sempre un avvenimento culturale»: è il commento del geologo. Di diverso parere il fisico nucleare, che invece definisce la stessa cifra «bruscolini», se considerata su scala nazionale.

 

«Un aspetto sociale ed economico c’è. Se noi dormiamo, consumiamo poca energia elettrica. Se invece siamo svegli, ne consumiamo di più. Allora conviene che non ci sia luce naturale quando dormiamo piuttosto che quando siamo svegli. In questa maniera si ritarda di un’ora l’accensione delle luci», specifica subito dopo. E poiché la lingua batte dove il dente duole, non possiamo non considerare che in palio c’è, com’è noto, una manciata di minuti in meno di sonno. «Un pochino ne risenti.
È quell’ora alla quale sei abituato per via della latitudine in cui vivi e che, tuttavia, viene molto facilmente riassorbita. Siamo abituati a dormire in una maniera diversa rispetto al passato, ma da tanto tempo», conclude Tozzi. E Rossi Albertini si accoda, sfatando la credenza delle giornate che si allungano e usando parole chiare: «È un effetto temporaneo. Ci sono soggetti sensibili alle variazioni. Il sonno si recupera. Stando alla statistica medica, non è un fatto di grande rilevanza».

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