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Mar Rosso, l'Italia guida la missione Ue: "Comando tattico"

Andrea Riccardi
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 Sarà l’Italia a guidare la missione europea nel Mar Rosso a difesa delle navi mercantili dagli attacchi dei ribelli Houti. Ad annunciarlo il ministro della Difesa Guido Crosetto: «L’Unione Europea, nella giornata di oggi (ieri ndr), ha chiesto all’Italia di fornire il Force Commander dell’Operazione Aspides nel Mar Rosso (l’ufficiale ammiraglio che esercita il comando imbarcato degli assetti navali che partecipano all’operazione). L’importanza e l’urgenza dell’Operazione Aspides, che contribuirà a garantire la libera navigazione e la sicurezza del traffico commerciale nel Mar Rosso, hanno indotto la Difesa italiana ad assicurare immediatamente il proprio sostegno. Si tratta di un ulteriore riconoscimento dell’impegno del Governo e della Difesa e della competenza e professionalità della Marina Militare».

 

Intanto Hamas studia l’ultima proposta per un cessate il fuoco con Israele che prevede anche scambi graduali tra ostaggi e detenuti palestinesi. Il gruppo ha assicurato che risponderà «molto presto» pur continuando a ribadire quale sia la principale condizione per arrivare a un’intesa: una tregua prolungata. Tutto il resto, ha sottolineato il funzionario, può essere negoziato. Osama Hamdam, dirigente di Hamas in Libano, ha confermato questa posizione, parlando della necessità di un cessate il fuoco permanente e ponendo come ulteriore condizione la liberazione di migliaia di prigionieri palestinesi, compresi quelli condannati per i reati più gravi. Come Marwan Barghouti, che in Israele sta scontando diversi ergastoli in quanto considerato uno dei leader della prima e della seconda Intifada. Oltre a Barghouti, Hamdan ha citato Ahmed Saadat, capo del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, nonché i prigionieri di Hamas e quelli del gruppo della Jihad Islamica. Nomi pesanti, che sembrano sfidare le resistenze israeliane a rilasciare personaggi chiave della rivolta.

 

Tel Aviv, del resto, ha messo l’eliminazione di Hamas in cima alle priorità della campagna militare nella Striscia, ma nello stesso tempo deve fronteggiare la crescente pressione popolare, capeggiata dalle famiglie degli oltre 100 ostaggi ancora a Gaza che chiedono a gran voce il ritorno a casa dei loro cari. La ritorsione israeliana per l’attacco del 7 ottobre si è risolta in un bagno di sangue nell’enclave palestinese, dove secondo il locale ministero della Sanità - sono stati superati i 27.100 morti. Un martellamento continuo che rischia di isolare Tel Aviv a livello internazionale.

Lo dimostra la dichiarazione firmata da oltre 800 funzionari in servizio negli Stati Uniti, nell’Ue e in 11 Paesi europei nella quale vengono criticate le azioni israeliane nella Striscia di Gaza. I firmatari avvertono anche i rispettivi governi di appartenenza sul rischio, laddove non si oppongano alla condotta israeliana, di diventare complici di «una delle peggiori catastrofi umane di questo secolo». Gli Stati Uniti, da parte loro, continuano a chiedere moderazione all’alleato israeliano. Washington teme un allargamento del conflitto con l’intervento diretto di altri attori della regione mediorientale. Al Jazeera ha riferito di un nuovo, presunto, raid israeliano vicino Damasco nel quale sarebbe stato ucciso un consigliere dei pasdaran di Teheran. Il presidente iraniano, Ebrahim Raisi, ha ribadito che la repubblica islamica non ha intenzione di iniziare «alcuna guerra» ma è pronta a «rispondere con forza» se «un Paese, una forza crudele, vuole fare il prepotente». Ma proprio ieri sarebbe partita l’offensiva Usa in Siria e Iraq contro milizie irachene sostenute dall’Iran, in risposta all’attacco con droni che una settimana fa ha ucciso tre soldati americani in una base in Giordania. I morti sarebbero almeno 13. 

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