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Sul tema del patriarcato va criticato l'Islam

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Annalisa Chirico
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Il trenino del ministro Francesco Lollobrigida e la polemica sul patriarcato a Palazzo Chigi si muovono su binari solo apparentemente separati. Il punto di contatto porta il nome di Giorgia Meloni, e vi spiego perché. In tempi normali (dove per «normalità» s'intende con la sinistra al governo, com'è giusto), mai sarebbe sorto un putiferio mediatico per una fermata straordinaria richiesta, su un treno con due ore di ritardo, non già per raggiungere una località vacantiera ma per garantire il regolare svolgimento di una iniziativa a Caivano. 

 

 

Se il protagonista è il cognato della premier la storia cambia, tutti si scoprono esperti capotreni, si rincorrono le interviste ai pendolari d'Italia e la retorica anti-casta sfodera l'armamentario dell'«uno vale uno»: un comune cittadino avrebbe mai potuto fermare il convoglio? Non solo la risposta è «sì», infatti negli ultimi sei mesi è accaduto oltre duecento volte, ma da queste parti non si ha paura ad affermare che un ministro non è un comune cittadino. L'impressione è che ad ogni sillaba proferita da Lollobrigida si scateni il fuoco incrociato contro il cognato della premier. Non contano più le biografie personali, le militanze durate una vita, gli scalini di una carriera graduale e coerente, conta che ti sei innamorato di una donna la cui sorella, molti anni dopo, è diventata presidente del Consiglio. E la cognatanza è reato imperdonabile. 

 

 

Per paradosso, poi, la premier, pur essendo inconfutabilmente donna e inconfutabilmente leader, è accusata dalle femministe fanatizzate di essere espressione nientemeno che del patriarcato. Il fascismo dunque ha ceduto il passo al patriarcato: da capa autoritaria, fautrice di una deriva liberticida, Meloni passa ad essere la longa manus della sopraffazione maschile. Una donna a cui la vita nulla ha regalato, cresciuta in una famiglia di donne, capace di conquistarsi la leadership sul campo, non certo per grazia ricevuta ma lottando in un partito e in un sistema dominato dagli uomini, diventa l'emblema del potere maschile. Verrebbe da ridere, se non fosse che le campionesse dell'antimelonismo non esitano a strumentalizzare il caso di una 22enne barbaramente assassinata dall'ex fidanzato per buttarla in politica e menare contro la premier patriarcale. 

 

 

Di qui un umile appello: se vi rimane un briciolo di amor proprio, giusto un briciolo, proseguite pure nella vostra campagna quotidiana contro Meloni e il governo, non risparmiate alla premier critica alcuna ma giudicatela per ciò che fa, non per ciò che è. Il patriarcato meloniano è un teorema semplicemente ridicolo. L'astio contro il governo non può accecare le menti al punto di annichilire la realtà. Perla prima volta nella storia repubblicana una donna è alla detta di comando a Palazzo Chigi. Non basta questo per risolvere, in un colpo, i problemi delle donne italiane: tetti di cristallo, disparità salariali, maschilismo diffuso compongono una realtà con cui ciascuna di noi fa i conti ogni giorno. Ma in Italia il patriarcato esiste soltanto nelle famiglie delle tante «Saman» senza nome. Il patriarcato si chiama Islam, e noi, in quanto donne più fortunate di altre donne, abbiamo il dovere di amare la nostra libertà, di guardarla in faccia ogni giorno, di non darla mai per scontata. Siamo donne libere, in un mondo imperfetto. E oggi abbiamo, per la prima volta, una donna premier. Non è tutto, ma è qualcosa di innegabilmente rivoluzionario.

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