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Migranti, “scappo dai cercatori d'oro”. Così il clandestino beffa la legge

Edoardo Romagnoli
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Il Viminale ha scelto di impugnare la decisione del Tribunale di Catania che ha accolto il ricorso di un cittadino tunisino, sbarcato a metà settembre a Lampedusa e portato nel nuovo centro di Pozzallo, e ne ha disposto la liberazione. La motivazione del giudice è che non si può trattenere un richiedente asilo senza effettuare una valutazione su base individuale. Non solo per il Tribunale di Catania è illegittimo anche chiedere una garanzia economica come alternativa alla detenzione. Si tratta di una delle prime applicazioni delle norme introdotte in Italia nei giorni scorsi, di cui viene confermata la mancata coerenza ai principi statuiti dalla nostra Costituzione e dalla Direttiva Ue 2013. Decisione che ha fatto discutere.

 

 

Matteo Salvini ha scritto: «Sbarcato da 10 giorni, e ricorso subito accolto dal Tribunale. Ma aveva l’avvocato sul barcone??? Riforma della giustizia, presto e bene». Per il capogruppo alla Camera di FdI Tommaso Foti: «Muove più sdegno che sorpresa la notizia dell’avvenuto annullamento del trattenimento del primo immigrato dal centro di Pozzallo. Proprio il Consiglio dei ministri si era mosso nella linea espressa dal Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, che aveva ribadito "decidiamo noi chi entra in Europa, non lo decidono i trafficanti di esseri umani"». Ricordiamo che un migrante per accedere allo status di rifugiato deve aver subito o rischiare di subire, nel proprio Paese d’origine, persecuzioni (come torture fisiche o psicologiche, o pene ingiuste) per motivi di razza, religione, appartenenza a un gruppo sociale o politico. L’asilo è concesso in base all’articolo 1 della Convenzione di Ginevra del 1951, che vede anche l’Italia tra i firmatari. Solo che se andiamo a vedere fra le richieste avanzate dai primi migranti trasferiti a Pozzallo i motivi sono fra i più svariati.

 

 

C’è chi chiede protezione internazionale perchè «perseguitato per caratteristiche fisiche che i cercatori d’oro del suo Paese, secondo credenze locali, ritengono favorevoli nello svolgimento delle loro attività (ad esempio per delle particolari linee della mano)». Chi invece chiede protezione per «dei dissidi con i familiari delle sua ragazza, i quali volevano ucciderlo ritenendolo responsabile del decesso di quest’ultima, annegata in un precedente tentativo di raggiungere le cose italiane». Un altro racconta di essere partito per «poter pagare le cure nel suo Paese (la Tunisia, ndr.)» alla moglie ricoverata in ospedale. Fino a chi scappa del suo Paese per «questioni essenzialmente economiche e per minacce che aveva ricevuto da alcuni dei suoi creditori». Tutti motivi più che validi, ma non contemplati dalla normativa internazionale. La sentenza del Tribunale di Catania rischia di far saltare l’impostazione voluta dal governo. E, in questo senso, diventerebbe ancora più importante il dialogo fra Europa e Italia per cercare di dare un’impostazione condivisa alla politica migratoria comunitaria.

 

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