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Gli Usa scelgono Roma: Expo 2030 è più vicina. Sfida con Riad

Martina Zanchi
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Gli Stati Uniti d’America e la Città del Vaticano. Nella corsa verso Expo 2030 la candidatura di Roma, sostenuta dal governo di Giorgia Meloni sullo scacchiere estero, ha ottenuto due endorsement di considerevole peso geopolitico. Tre giorni fa monsignor Rino Fisichella, pro-prefetto del dicastero vaticano per l’Evangelizzazione, durante una conferenza stampa alla presenza del sottosegretario Alfredo Mantovano ha auspicato che «a novembre, quando ci saranno le votazioni, Roma sia il luogo di Expo2030». Quarantott’ore dopo, al termine del bilaterale tra il premier Meloni e il presidente americano Joe Biden, la Capitale ha incassato l’appoggio esplicito di Washington.

«Gli Stati Uniti - si legge in una nota ufficiale della Casa Bianca - accolgono con favore la candidatura dell’Italia a ospitare l’Esposizione universale nel 2030, riconoscendo l’opportunità di utilizzare Expo come piattaforma inclusiva per trovare soluzioni condivise a sfide comuni». Un risultato, quello raggiunto dalla missione di Meloni negli Usa, che il comitato promotore Roma Expo ha accolto con entusiasmo. Quella del presidente Biden, del resto, è una presa di posizione in grado di spostare gli equilibri nella sfida contro l’Arabia Saudita. Di fronte ai 179 Paesi membri del Bie (Bureau International des Expositions) la monarchia di Mohammed bin Salman ha schierato Riad e tra quattro mesi l’assemblea dovrà votare tra la capitale saudita, Roma e la città sudcoreana Busan. Ma salvo sorprese la vera sfida si gioca tra l’Italia e Riad, con la seconda che punterebbe a vincere al primo turno, forte di oltre un centinaio di consensi raccolti sulla carta. Troppo rischioso arrivare al ballottaggio contro la Città Eterna, che pur disponendo di risorse economiche decisamente inferiori per promuovere e sviluppare il progetto Expo sta giocando bene le sue carte attaccando l’avversaria sui punti deboli. Primo tra tutti il rispetto dei diritti umani e civili.

 

Durante la visita a Roma, ad aprile, gli ispettori di Expo hanno potuto dialogare senza intermediari con associazioni e Ong che si occupano di temi umanitari e della tutela delle minoranze. Solo un mese dopo dodici organizzazioni non governative del mondo arabo hanno chiesto al Bie l’esclusione di Riad dalla competizione, sottolineando il ricorso massiccio alla pena di morte da parte della monarchia ereditaria e la «sistematica violazione dei diritti umani, non in linea con i valori di Expo». Dalla sua parte Roma Capitale ha anche la diplomazia europea. A marzo l’Alto rappresentante Ue per la Politica estera, Josep Borrell, ha mobilitato le ambasciate per promuovere nel mondo la causa italiana, auspicando che tutti i membri dell’Unione la sostengano. Appello che, tuttavia, non deve essere risuonato Oltralpe. Un mese fa, al termine del vertice Meloni-Macron, fonti dell’Eliseo hanno lasciato trapelare che l’accordo tra la Francia e l’Arabia Saudita per il voto a Riad è ancora valido («ma solo per il primo turno»). Orientamento che non sembra condiviso dalla sinistra francese, visto che anche Anne Hidalgo, sindaco socialista di Parigi (dove ha sede il Bie) si è espressa in favore della Capitale. Ora, a quattro mesi dal voto, l’appoggio dello «Zio Sam» rischia di scombinare definitivamente le carte. Nel frattempo a Roma gli incontri del sindaco Roberto Gualtieri con i partner internazionali si susseguono. Gli ultimi sono stati con le delegazioni armena e vietnamita, ma il primo cittadino non esita a far leva su rapporti di vecchia data. Come quello con Lula, il presidente brasiliano rieletto che, un mese fa, ha preso un volo per Roma raggiungendo Gualtieri in Campidoglio. Sul tavolo, neanche a dirlo, il dossier di Expo 2030. 

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