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Strage di Primavalle, il senatore Verini (Pd): "Barbaro assassinio da non dimenticare"

Stefano Liburdi
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II corpi dei due fratelli carbonizzati vennero trovati dai vigili del fuoco vicino alla finestra, stretti in un abbraccio. La foto scattata dal basso che ritrae Virgilio Mattei, 22 anni, con il volto completamente sfigurato, appoggiato al davanzale della finestra è diventata un simbolo in perenne ricordo di uno degli atti più crudeli degli anni ’70.

È la notte tra il 15 e il 16 aprile del 1973, esattamente le 3.20 di un lunedì quando, nel quartiere romano di Primavalle, in via Bernardo di Bibbiena numero 33, lotto 15, scala D, terzo piano, qualcuno lascia davanti alla porta di un appartamento una tanica di benzina con un innesco artigianale. Prima di fuggire via, quelle ombre assassine attivano la miccia. Pochi secondi e il potentissimo scoppio segna l’inizio dell’inferno.

In pochi istanti le fiamme invadono la casa di Mario Mattei, ex netturbino di 48 anni, segretario della sezione «Giarabub» del Movimento sociale italiano, in via Svampa. Nell’appartamento oltre a Mario, ci sono la moglie Anna e i sei figli. Marito, moglie e quattro figli, tra cui Giampaolo di appena tre anni, riescono a salvarsi. Virgilio e Stefano di 8 anni, rimangono intrappolati. Scappano verso la finestra, ma lì vengono raggiunti dalle fiamme e muoiono bruciati vivi. 

Per il rogo di Primavalle sono riconosciuti colpevoli tre giovani di Potere Operaio: Achille Lollo, morto nell’agosto del 2021 a Trevignano Romano, Marino Clavio e Manlio Grillo condannati a 18 anni di reclusione, condanna poi prescritta avendo i tre evitato l’arresto fuggendo all’estero: Clavo e Grillo prima del processo e Lollo dopo il I grado, quando, in attesa dell’appello, era stato rilasciato.

«Vogliamo ricordare in quest’aula la Strage di Primavalle e il barbaro assassinio di Stefano e a Virgilio Mattei. Lo facciamo oggi (ieri, ndr), perché domenica saranno cinquanta anni da quella notte del 16 aprile 1973, quando un gruppo di estremisti della sinistra extraparlamentare versò della benzina sotto la porta dell’appartamento della famiglia Mattei in via Bernardo da Bibbiena e appiccò il fuoco». «Questi assassini non hanno mai pagato il loro conto: uno non c’è più, gli altri sono da decenni fuggiti all’estero». A pronunciare queste frasi, intervenendo nell’Aula di Palazzo Madama, è il senatore del Partito democratico Walter Verini che da anni porta avanti con Giampaolo Mattei iniziative per non dimenticare ciò che è accaduto ormai mezzo secolo fa.

Senatore Verini, quale era il contesto storico e il clima che si respirava nei primi anni ’70?
«Erano anni dell’odio, gli anni delle stragi nere. C’era stata Piazza Fontana, di lì a poco ci sarebbero stati l’Italicus e la strage di Brescia. Anche il terrorismo rosso si stava affacciando sulla scena del crimine politico con il rapimento del magistrato Sossi da parte delle prime Brigate Rosse e poi con una scia di attentati e omicidi fino al rapimento di Aldo Moro. Io ero uno studente universitario a Perugia impegnato politicamente nella Fgci. Da noi non c’era il clima violento delle grandi città, ma ricordo bene l’attentato alla Casa del Popolo di Moiano, uno dei luoghi simbolo della sinistra umbra».

Perché la sinistra non prese le distanze dai tre autori della strage di Primavalle, anzi, qualcuno si adoperò per fargli avere aiuti pratici e finanziari?
«A sinistra non si poteva ammettere un delitto così efferato. C’era una visione colma di ideologie che impedì di guardare le cose nella loro realtà. La stessa condotta che portò a fare appelli contro il commissario Calabresi. Ci sono voluti decenni per cambiare approccio. Lo fece il presidente Napolitano quando organizzò l’incontro al Quirinale tra la vedova Pinelli e la vedova Calabresi».

Per quale motivo non si è fatto ancora abbastanza per scrivere la parola fine a quella stagione dell’odio?
«La sinistra quello che doveva fare l’ha fatto, a cominciare da Guido Rossa che pagò con la vita il coraggio di denunciare. Quella sinistra che all’epoca aveva come riferimenti Lama e Berlinguer e che, come noi ragazzi della Fgci, vedeva come nemici i gruppi extraparlamentari che avevano scelto di imbracciare le armi. A destra non tutti hanno fatto i conti con il passato. Lo aveva cominciato a fare Gianfranco Fini prendendo le distanze da alcuni avvenimenti del passato. In politica devono esserci avversari e non nemici. Deve esserci contrapposizione anche aspra, ma non odio sterminatore. È questa l’essenza della democrazia, di quella democrazia base comune scolpita nella Costituzione, nata dalla Liberazione che l’Italia conobbe il 25 Aprile 1945». 

Quindi in concreto, quali sono le iniziative da prendere per superare definitivamente gli "Anni di piombo"?
«Nel discorso in Senato ho citato Walter Veltroni. Da sindaco della Capitale ha intitolato delle vie ai fratelli Mattei, a Paolo Di Nella e a Valerio Verbano per citarne alcuni. Questo è un gesto importante di pacificazione. Mi lasci ricordare l’emozione provata al Palaeur nel 2008 quando in una manifestazione Veltroni chiamò sul palco Giampaolo Mattei e Carla Zappelli, la mamma di Valerio Verbano, che adesso non c’è più, una donna minuta, mentre Mattei è un omone di due metri. Si abbracciarono commossi. Fu un gesto straordinario. Entrambi, anche con il rischio che i loro mondi di provenienza non comprendessero fino in fondo, diedero una testimonianza incancellabile. Da qui bisogna partire per arrivare a combattere le idee e non le persone».

Con Giampaolo Mattei quali iniziative avete in programma in occasione dei cinquant’anni da quel terribile giorno?
«Questa mattina (ieri, ndr), c’è stato un bellissimo incontro con gli studenti dell’Istituto comprensivo "Piero Angela" di Civitella San Paolo. Domenica invece saremo alle 11 nella Sala della Protomoteca in Campidoglio. Ho conosciuto Giampaolo quando ero capo della segreteria del sindaco Veltroni. Lui ha fondato l’associazione "Fratelli Mattei" alla quale fu data una sede in zona Marconi. Purtroppo per qualche "disguido" la giunta Raggi ha chiuso quei locali. Giampaolo è anche venuto a una festa nazionale dell’Unità per parlare della vicenda. Lui non è certo di sinistra ma con coraggio ha capito che per onorare i suoi fratelli deve far conoscere la loro storia perché quei fatti non si ripetano più, oggi più che mai, visto il rischio che si riaffacci la stagione dell’odio anche sotto altre forme come antisemitismo, razzismo, odio contro il diverso. Campanelli d’allarme che dicono a tutti: non dimentichiamo quegli anni, non devono tornare».
 

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