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Dossier Legambiente, su pannelli solari e parchi eolici l'Italia non è un Paese rinnovabile

Alessio Buzzelli
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Che l’Italia si trovi piuttosto indietro per ciò che riguarda lo sviluppo delle cosiddette «fonti rinnovabili» è un fatto noto. Meno note, invece, sono le cause che stanno alla base di questo ritardo, un ritardo che sta lasciando il nostro Paese sempre più indietro sulla strada di quella transizione energetica che – piaccia o meno – sembra ormai essere l’obiettivo primario per tutte le nazioni occidentali. E proprio allo scopo di indagare ragioni e cause della difficoltà tutta italiana di muoversi verso il nuovo mondo «green», è stato costruito da Legambiente un approfondito studio il cui titolo - «Scacco matto alle fonti rinnovabili: tutta la burocrazia che blocca lo sviluppo delle rinnovabili» – è già un ottimo compendio del suo contenuto. Il report, infatti, individua con precisione - attraverso dati, grafici ed esempi concreti – quale sia per l’Italia il vero ostacolo nella corsa alle rinnovabili: la burocrazia, appunto, declinata in ogni sua possibile forma. Lentezza nel rilascio delle autorizzazioni, discrezionalità nelle procedure di Valutazione di impatto ambientale, blocchi da parte delle sovrintendenze e norme disomogenee tra loro, a cui si aggiungono i contenziosi tra istituzioni e l’opposizione, spesso di puro principio, dei mille comitati del «no»: un micidiale combinato disposto di elementi che, secondo Legambiente, in moltissimi casi ha impedito la realizzazione dei progetti necessari allo sviluppo sostenibile del Paese. Vediamo nel dettaglio alcune delle principali criticità rilevate dallo studio. 

ETEROGENEITÀ NORMATIVA
Tra le prime criticità che il report mette in evidenza nel nostro Paese c’è sicuramente la mancanza di un quadro normativo unico e certo, in grado di mettere ordine tra tutti gli attori coinvolti nei processi di valutazione e autorizzativi. Il riferimento esplicito è al Decreto Interministeriale del 10 settembre 2011, un testo che ha ormai quasi 12 anni e che, secondo Legambiente, «risulta obsoleto rispetto a quanto è cambiato», specie perché sviluppato in una fase in cui «non erano ancora state implementate le strategie di uscita dalle fonti fossili» e in cui «la realizzazione di impianti da fonti rinnovabili era solo agli inizi». La norma, infatti, per come è concepita, è piuttosto farraginosa - prevede ben tre iter autorizzativi (AU, PAS, comunicazione al Comune) – e, sopratutto, genera una complessa frammentazione nelle competenze, non essendo «considerata» da tutti gli enti coinvolti nel processo. Il risultato è che gli attori agiscono ciascuno in modo indipendente e scollegato dagli altri, così che, quando ci sono interessi discordanti, gli stessi organi dello Stato finiscono per dare spesso indicazioni contrastanti. Un buon esempio di tale frammentazione è, fa notare lo studio, rappresentato da quelle turbine eoliche per le quali si richiede una colorazione che le renda ben visibili, in modo da ridurre l’impatto per l’avifauna, che però, al contempo, genera un impatto paesaggistico valutato negativamente dalle varie sovrintendenze.


ENTI LOCALI
Ad ostacolare lo sviluppo dei progetti da fonti rinnovabili non ci sono solo le norme e la burocrazia nazionale, ma anche leggi e atteggiamenti locali che contribuiscono in modo importante a bloccare l’arrivo di queste tecnologie nei vari territori. Per corroborare questa tesi, lo studio cita quelle che chiama «20 storie esemplari dei blocchi alle rinnovabili», situazioni in cui le azioni delle realtà locali (Regioni, comuni e sovrintendenze) si sono rivelate decisive nel mancato sviluppo di alcuni progetti. Tra queste c’è, ad esempio, quella relativa impianto eolico off-shore di Taranto: un parco eolico proposto a largo del porto, costituito da 10 turbine eoliche, che, dopo ben 12 anni di complesse vicende autorizzative, ancora non ha visto la luce, a causa di lungaggini burocratiche dovute ai pareri negativi della Regione prima e della Sovrintendenza poi. Poi c’è anche la vicenda del parco eolico del Mugello, in Toscana: qui i Comuni e la Regione hanno espresso parere positivo, ma la sovrintendenza ai Beni Culturali si è opposta, chiedendo di eliminare tre degli otto aerogeneratori. A dare man forte si sono poi aggiunti i comitati locali, cittadini e alcune associazioni, col risultato che il progetto è bloccato da 2 anni. Infine è da citare il caso delle tre regioni – Abruzzo, Lazio, Calabria – che, a differenza di tutte le altre, hanno posto moratorie allo sviluppo delle nuove installazioni da fonti rinnovabili in attesa di identificare le aree idonee allo scopo, disponendo intanto la sospensione delle installazioni non ancora autorizzate di impianti eolici e fotovoltaici a terra, nelle aree agricole caratterizzate da produzioni agro-alimentari di qualità e/o di pregio paesaggistico-culturale.

I COMITATI
Altro fattore decisivo nel ritardo italiano sul tema rinnovabili è, secondo Legambiente, quello dei mille comitati del «no» - che prosperano un po’ dovunque nel nostro Paese -, suddivisi dallo studio in due macrocategorie. Da una parte i cosiddetti comitati NIMBY (Not In My Back Yard – non nel mio giardino) e, dall’altra, i NIMTO (Not In My Terms of Office – non durante il mio mandato): i primi sono costituiti perlopiù da privati cittadini che non vogliono opere nelle vicinanze delle proprie abitazioni; i secondi, invece, sono animati da amministratori locali e politici, i quali si oppongono per il timore di perdere consenso. Spesso le due categorie si ritrovano a condividere le stesse battaglie, come nel caso dell’impianto eolico off-shore di Rimini, in cui, da subito, si è scatenata un’imponente azione NIMBY e NIMTO a livello regionale e locale che ha avuto come effetto immediato il ridimensionamento dell’opera da 59 pale eoliche a 51. Oppure come nella vicenda di un altro progetto eolico off-shore, quello del Canale di Sicilia, l’impianto flottante più grande d’Europa, contro il quale si sono scagliati non solo i comitati locali– con proteste arrivate fino al Senato e alla Commissione UE - ma anche alcuni sindaci dei comuni del Trapanese e varie associazioni di pescatori.
 

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