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Il caos del superbonus ferma 20 miliardi di crediti fiscali

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Filippo Caleri
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Partito come leva per rilanciare il settore edilizio coniugando il fatturato con la riqualificazione energetica e sismica del patrimonio abitativo italiano, il superbonus non ha mai avuto vita facile. Tanti gli inciampi: dalle incertezze create nella fase di prima applicazione della norma, soprattutto sul tema degli abusi edilizi da sanare poi chiarito dalle circolari delle Entrate, fino all'ultimo ostacolo creato dalle truffe che hanno accompagnato l'applicazione della misura e alla responsabilità solidale prevista non solo per chi cede il credito fiscale ma anche per il cessionario, cioè chi lo rileva.

Un elemento, quest' ultimo, che ha limitato fortemente il passaggio tra i vari operatori finanziari interessati a vendere crediti a chi poteva scontarli dalle tasse. Un blocco che ha lasciato con il cerino in mano a migliaia di aziende edili che, per iniziare i lavori hanno ottenuto anticipazioni dalle banche, e che ora rischiano di non poter ottenere il profitto d'impresa per lo stop di fatto delle cessioni del bonus fiscale.

Si tratta di un importante volano economico per il quale è difficile fare stime precise. Non esistono studi sui crediti incagliati ma da un calcolo a spanne effettuato dall'Associazione nazionale dei costruttori si parla di una cifra monstre attorno ai 20 miliardi di euro.

Un numero solo di poco sotto all'uno per cento del prodotto interno lordo che rischia di non creare ricchezza ma anzi di distruggerla. Basta incrociare, infatti, questo dato con quello che da giorni cita il leader del M5S, Giuseppe Conte, sulle aziende che rischiano di fallire, tra le 30 e le 40mila, per comprendere il senso economico della partita che si sta giocando sul piano politico.

La possibile via d'uscita dall'impasse nella quale si è impantanato il superbonus è infatti un emendamento presentato dai grillini al dl Aiuti in via di conversione al Parlamento. Un punto sul quale si è però aperto un braccio di ferro tra le forze politiche che mette a rischio l'approvazione dell'intero impianto legislativo.

Almeno da questo punto di vista però Conte ha fatto chiarezza spiegando che «non abbiamo bloccato nulla, il decreto è in Gazzetta il 9 agosto, i fondi sono stati stanziati. Il termine per la conversione del decreto in Parlamento scade il 9 ottobre. Noi martedì (domani ndr) voteremo il decreto, non abbiamo mai detto che non voteremo la conversione, mica siamo pazzi. Ma il governo ha detto "ritirate gli emendamenti" e noi abbiamo detto "tu fai guerra al superbonus", ma così si rischia il fallimento di 30-40mila aziende. Lo approviamo il decreto ma non vogliamo ritirare l'emendamento che sblocca la circolazione dei crediti. Non abbiamo mai detto che se non votano il nostro emendamento noi per ritorsione non votiamo il dl». Insomma il clima è rovente. Ma sulla graticola ci sono migliaia di aziende che attendono una soluzione e 20 miliardi di euro sospesi. 

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