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Guerra in Ucraina, schizzano i prezzi di pane, pasta e olio di semi

Christian Campigli
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Prezzi alle stelle, prodotti sempre più difficili da trovare e un'economia, quella italiana, che rischia di subire uno stop decisivo ai timidi tentativi di ripresa. Gli echi della guerra in Ucraina si fanno sentire anche nel nostro Paese e, in particolar modo, sul carrello della spesa. Al supermercato. Vengono colpiti alcuni beni di largo consumo come pasta, pane e olio di semi. Lo denuncia Assoutenti, che, sulla base degli ultimi dati forniti dal Mise, ha stilato ieri la classifica delle città dove i listini al dettaglio di questi tre prodotti hanno subito incrementi più consistenti. Uno scenario apocalittico, che, senza correttivi importanti a livello governativo, rischia di impoverire gli italiani, cambiare le loro abitudini, anche a tavola e fiaccare, sul nascere, la ripresa. Che, è bene ricordarlo, ha un bisogno spasmodico di un aumento dei consumi. E non certo di una sua contrazione.

La maglia nera dei rincari spetta senza dubbio all'olio di semi di girasole, che in soli due mesi, tra gennaio e marzo 2022, fa registrare aumenti di prezzo superiori al 40% a Verona e Lodi, tra il 20% e il 25% a Mantova, Cremona, Sassari, Novara e Vercelli e tra il +10% e il 20% in ben 19 province italiane, spiega Assoutenti. Una ondata di aumenti legata in modo diretto al conflitto in atto: Ucraina e Russia insieme rappresentano l'80% delle esportazioni mondiali di olio di semi di girasole, e il blocco delle importazioni si sta riflettendo sui prezzi ai consumatori attraverso rincari record in tutta Italia. Inoltre in soli due mesi si registrano aumenti a due cifre per pasta +13% e pane +12%. Secondo il presidente di Assoutenti, Furio Truzzi si tratta di «aumenti spropositati. Pochi giorni dopo l'inizio del conflitto avevamo denunciato il rischio di rincari per quei prodotti realizzati con materie prime di cui Russia e Ucraina sono principali esportatori. I numeri ufficiali ci danno oggi ragione: al di là dei record registrati da alcune province, gli aumenti dei prezzi di pane, pasta e olio di semi sono generalizzati e interessano tutte le città».

Ma all'impennata dei prezzi si accompagna una pratica definita dal Codacons come «sleale». Stiamo parlando del «shrinkflation», una parola inglese composta da «shrink» (restringere) e «inflation» (inflazione). In sostanza, alcune grandi aziende, per nascondere la maggiorazione dei costi del prodotto finale ed evitare così di perdere una fetta importante di mercato, hanno lasciato invariato il prezzo. Diminuendo però la quantità del prodotto all'interno della confezione. Non è un caso che, negli ultimi due mesi, siano sbucati dal nulla pacchi di pasta da quattrocento grammi. Al posto del più classico mezzo chilo. La vita frenetica che il novantanove per cento degli italiani conduce quotidianamente, porta ad abbassare l'attenzione su certi particolari. Secondo numerosi studi, l'occhio del consumatore distratto va diretto sul cartellino esposto e non sulla quantità della confezione. L'aumento del costo delle materie prime, la scelta politica di boicottare il gas russo sono certamente alcuni dei principali aspetti di queste impennate. Senza dimenticare anche un dettaglio spesso sottovalutato: l'inflazione ha un andamento ciclico, determinato da aspetti difficili da prevedere con largo anticipo. Ma, come tutti i fattori economici, può essere arginata da politiche ad hoc messe in campo da chi governa.
 

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