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A Tor Vergata si parla del reinserimento dei detenuti

L'importanza della formazione e del lavoro per chi è recluso

Stefano Liburdi
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I veri protagonisti, i più applauditi da chi ha assistito al dibattito, sono stati loro: gli assenti.

Si è svolto ieri nell’aula “Moscati” dell’Università di Roma Tor Vergata il convegno dal titolo: “Detenzione e reinserimento sociale. Diritto allo studio, diritto al lavoro”, coordinato dalla professoressa Marina Formica responsabile del progetto “Università in carcere”. In un tavolo ricco di illustri e competenti partecipanti, a far rumore sono stati soprattutto i detenuti scelti tra chi ha intrapreso un percorso di studio arrivando al traguardo della laurea.

Dovevano essere tre a portare la loro testimonianza, ma all’appello ha risposto solo Giovanni Colonia: a Filippo Rigano e Giuseppe Perrone è stato revocato un permesso di partecipazione già accordato in precedenza. Bizzarro che tema principale dell’evento fosse il reinserimento sociale e chi ha intrapreso con successo questo lungo e faticoso percorso, non sia potuto venire a raccontarlo. Colonia ha letto due emozionanti messaggi a firma Rigano e Perrone che hanno voluto salutare i presenti, e ha sottolineato quanto sia necessario che la persona come identità sia posta al centro della prospettiva: “Solo così può funzionare la rieducazione”.

Tra i primi a parlare la dottoressa Rosella Santoro direttrice di Rebibbia NC: “Compito nostro è favorire all’interno del carcere, ogni tipo di attività che porti cultura, formazione e reinserimento. - ha sottolineato - E’ importante che la società esterna entri nei penitenziari e porti il suo contributo”. La direttrice ha voluto poi condividere una sua riflessione personale: “Ho notato che i detenuti che si recano al lavoro fuori dal carcere, quando rientrano sono persone diverse, con una cura del proprio corpo che prima non avevano”.

Dopo gli interventi del Garante nazionale dei diritti dei detenuti Mauro Palma, del Garante regionale Stefano Anastasia, della consigliera regionale Marta Bonafoni e del magistrato Pier Paolo Filippelli, a entrare nel vivo della discussione ci ha pensato la battagliera Garante comunale Gabriella Stramaccioni: “L’esperienza del Covid lo ha confermato: il carcere da solo non ce la fa. - è partita duro la Garante - Occorre operare in sintonia con la società, ma lo Stato deve dare il suo contributo. Oggi ci sono 2 educatori per 350 detenuti. Si chiudono attività per mancanza di personale, spesso si è costretti anche a rimandare di mesi visite mediche importanti per lo stesso motivo”. Ma non è finito, la Stramaccioni tuona: “Se lo Stato non si presenta in regola nel carcere, è difficile poi chiedere al detenuto altrettanto. Mi riferisco alla vicenda del cibo dove per colazione, pranzo e cena, lo Stato spende 2,39 euro”.

A spiegare nel concreto come reinserire i detenuti nella società, ci ha pensato Mauro Pellegrini della Pantacoop che ha assunto nelle sue attività, tra cui il “caffè Galeotto”, decine di detenuti in più di vent’anni: “Ci vuole tempo per raggiungere i risultati, per questo c’è bisogno di progetti che durino molti anni. Solo così si riesce a sostituire la cultura criminale con la cultura della legalità”.

A chiudere l’incontro l’attore Cosimo Rega, con un passato fatto di oltre quarant’anni di carcere, che ha trovato la giusta sintesi: “Il detenuto è come la pasta. Se la scoli troppo presto è cruda, se lo fai tardi è scotta. Ci vuole il giusto tempo per il suo reinserimento”.

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