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Ucraina, è impossibile rimanere inermi. Luciano Nobili: perché dico sì a Zelennsky

Luciano Nobili
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La decisione dei deputati e senatori del M5S - attuali e fuoriusciti - e della Lega che diserteranno stamattina la seduta comune del Parlamento in cui interverrà il Presidente ucraino Zelensky insieme al premier Draghi è una scelta gravissima, è profondamente sbagliata. Non tanto perché alimenta l’idea che ci sia, ancora oggi, dopo le barbarie a cui assistiamo da più di venti giorni, una presenza filoputiniana nel nostro Parlamento. Ma perché significa rifiutarsi di ascoltare il grido di aiuto di un paese democratico aggredito e bombardato in sfregio ad ogni legge internazionale, per il quale il nostro Paese insieme all’Europa si sta mobilitando con aiuti di ogni genere, e di testimoniargli solidarietà.

 

E perché è una posizione che danneggia l’immagine dell’Italia nel mondo e anche la costruzione di una tregua e di una possibile pace. Non è certo il momento di dividersi in tifoserie. Non siamo al derby fra Ucraina e Russia, un Paese di cui va rispettata e difesa la cultura (sono stato personalmente in prima linea contro chi propugnava la follia di vietare Dostoevskij e sono stato felice di partecipare alla lezione che Paolo Nori ha tenuto sulla sua vita domenica scorsa all’Auditorium) e di cui vanno difesi i tanti dissidenti che in diverse occasioni hanno fatto sentire la loro voce, sfidando il carcere previsto dal regime per chi non è d’accordo con Putin.

 

E anche chi ha commesso gravi errori in passato - dal filo putinismo leghista (incredibile non sia stato ancora stracciato l’accordo di partnership tra il partito di Salvini e quello di Putin) alla rincorsa alla via della Seta cinese di Conte e del M5S - dovrebbe oggi tenere comportamenti inequivocabili. 

Fa impressione nel contesto internazionale: solo in Italia abbiamo avuto manifestazioni il cui slogan era «nè con la NATO, nè con Putin», solo in Italia abbiamo parlamentari che si rifiutano di ascoltare le parole di Zelensky che coraggiosamente utilizza gli strumenti della comunicazione e anche la possibilità di parlare in contesti istituzionali per contrastare la spaventosa e strafinanziata campagna di disinformazione messa in campo dalla Russia. Persino la Le Pen che aveva annunciato defezione per mercoledì, quando Zelensky parlerà in Francia, pare ci abbia ripensato e sarà presente.

 

In questo quadro, i più assurdi sono quelli che hanno detto: dovremmo ascoltare anche Putin. Come se fossimo ad un qualunque talk show nel quale richiedere la par condicio. O come se si potesse condurre in Aula un lavoro diplomatico che va certamente condotto, ma in altre sedi e con altri interlocutori. E poi quale par condicio può mai esserci tra aggredito e aggressore, tra carnefice e vittima, tra chi sta compiendo crimini di guerra bombando ospedali, forni, teatri, scuole e chi rappresenta i civili, le donne e i bambini sotto quelle bombe?

Quale par condicio in una guerra condannata dalle Nazioni Unite fino al Papa che l’ha definito, coraggiosamente, disumana e sacrilega?  Quale par condicio se i civili morti sono solo ucraini, se le donne morte sono solo ucraine, se i bambini trucidati sono solo ucraini, se i milioni di rifugiati senza più casa sono solo ucraini?

Di fronte ad un'aggressione spietata, prima si ascolta chi sta subendo le violenze. Prima si solidarizza con chi è trucidato. C'è un prima e un poi. E il prima, oggi, per chi ha un minimo di senso etico e di umanità, è ascoltare il rappresentante di un popolo che viene massacrato.

 

Anche perché il ucraino, guidato dal Presidente Zelensky non combatte solo per salvare la sua terra e la propria autodeterminazione. Ma combatte anche in difesa dei nostri valori, quelli attorno a cui è costruita l’Europa: i valori della democrazia e della libertà.

E allora di fronte ad un aggressore che si macchia di crimini di guerra, non può esserci terzietà ed è esattamente nel Parlamento, la casa della nostra democrazia, che ha senso ospitare le parole di Zelensky per testimoniare l’impegno dell’Italia, a fianco dell’Ucraina per fermare prima possibile una guerra ingiusta e ingiustificabile.

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