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"Il governo di Zelensky ha mentito sull'assassinio di nostro figlio". Il caso di Andrea Rocchelli ucciso nel Donbass

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Valeria Di Corrado
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«L’attuale governo ucraino, per ciò che attiene all’uccisione di Andrea, ha proseguito nella linea scelta del precedente, negando la dinamica dei fatti ricostruita dalla magistratura italiana, mentendo e soprattutto costruendo false verità». Ci sono storie nelle storie e, soprattutto nelle guerre, non è tutto bianco o nero. Non concedono sconti al governo di Zelensky i genitori di Andrea Rocchelli, il fotoreporter di Pavia ucciso il 24 maggio del 2014, all’età di 31 anni, insieme all’attivista per i diritti umani Andrej Mironov.

 

Le vittime si trovavano nelle vicinanze della città di Sloviansk, nella zona orientale dell’Ucraina, per fare un reportage sulle condizioni dei civili durante il conflitto del Donbass, esposti al fuoco incrociato dell’esercito ucraino e delle postazioni dell’artiglieria separatista. Nei pressi di una fabbrica trasformata in deposito di armi dai filorussi, i due sono stati attinti da colpi di mortaio provenienti dalla collina occupata dalle postazioni ucraine del battaglione Azov. Rocchelli e Mironov sono morti, mentre il fotoreporter francese William Roguelon era rimasto gravemente ferito. La Corte d’assise di Pavia il 12 luglio 2019 aveva condannato un militare della Guardia Nazionale ucraina, Vitaly Markiv, a 24 anni di reclusione per concorso di colpa nell’omicidio di Andrea e Andrej e aveva giudicato lo Stato ucraino responsabile delle loro morti. Il 3 novembre 2020 la Corte d’assise d’appello di Milano aveva assolto l’imputato italo-ucraino «per non aver commesso il fatto», scarcerandolo; sentenza poi confermata anche dalla Corte di Cassazione il 9 dicembre scorso.

 

«Le immagini di questi giorni ci richiamano alla mente le immagini di 8 anni fa, oggi come allora le prime vittime della guerra sono i civili, che soffrono lutti, privazioni, traumi, fuga - hanno raccontato all’Adnkronos Rino Rocchelli ed Elisa Signori, papà e mamma del fotoreporter- Andrea aveva scelto proprio questo punto di vista, la quotidianità dei civili, per raccontare l’Ucraina del 2014. Scattò nel febbraio immagini parlanti della cosiddetta "rivoluzione della dignità" di Maidan, vivendo giorno dopo giorno quella protesta pacifica con i cittadini di Kiev scesi in piazza, e tornò nel Donbass nel maggio a documentare la quotidianità stravolta degli abitanti di Sloviansk, colpevoli solo di voler vivere in pace mentre intorno a loro si scatenava una spietata guerra fratricida».

 

La violenza delle bombe che devastano tutto, i giovani che imbracciano le armi, la disperazione di chi fugge: nelle foto di Andrea Rocchelli ci sono tutte le espressioni di questa guerra civile. Un paio di mesi prima della sua uccisione, la Crimea veniva annessa dalla Russia. Allora sono scattate le prime sanzioni verso la Russia, inasprite in questi giorni dopo la decisione di invadere l’Ucraina. «Per quanto riguarda il governo di Putin ci associamo convintamente alla condanna dell’invasione in corso e siamo solidali con la popolazione che la subisce - specificano i genitori di Andrea - Contiamo molto sul fatto che l’amicizia italo-ucraina, dichiarata a parole e confermata anche nei fatti, induca l’Italia a pretendere che l’Ucraina assuma le sue responsabilità e si faccia giustizia su questo caso».

Nell’inchiesta «La disciplina del silenzio», andata in onda a febbraio sul programma di RaiNews24 «Spotlight», è stato intervistato un militare che si trovava sulla collina da dove, secondo i pm italiani, sono partiti i colpi che hanno ucciso Andrea e Andrej. L'ex soldato ha spiegato che l'ordine di sparare sarebbe stato impartito personalmente dal comandante della 95esima Brigata, Mikhailo Zabrodskij, oggi deputato presso il parlamento ucraino e membro del gruppo per le relazioni interparlamentari con l’Italia. Pur respingendo ogni addebito, Zabrodskij ha dichiarato alla tv di non poter smentire né le ricostruzioni certificate dalla giustizia italiana, né le parole dei testimoni. Ha ammesso che tutte le forze presenti a Karachun - compresi gli uomini della Guardia Nazionale - erano sotto il suo comando. 

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