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Scoppia la "guerra" dell'arte Italia-Germania. Il tribunale di Roma confisca 21 vasi al museo di Berlino

Valeria Di Corrado
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Tra Italia e Germania è scoppiata la «guerra dell’arte». Lo scorso 11 ottobre il Tribunale di Roma ha disposto la confisca di 21 vasi apuli del IV secolo avanti Cristo esposti nel Museo archeologico di Berlino. Decorati da figure rosse su sfondo nero, i vasi di età ellenistica contesi tra Italia e Germania facevano parte di un corredo funerario, usato per adornare probabilmente una grande tomba a camera, a nord di Taranto. Vennero trafugati da alcuni tombaroli, attraverso scavi illeciti, per poi finire nella disponibilità di Giacomo Medici: commerciante e trafficante d’arte, riconosciuto colpevole di aver illegalmente rivenduto all’estero migliaia di opere italiane, sfruttando il porto franco di Ginevra; dove nel 1995 fecero irruzione i carabinieri del nucleo Tutela patrimonio culturale, sequestrando tutto.

Il 13 dicembre 2004 Medici fu condannato per ricettazione ed esportazione clandestina di reperti archeologici, negli anni che vanno dal ’60 al ’90. Già nelle motivazioni di quella sentenza - spiega il giudice delle indagini preliminari Alessandro Arturi, che ha ordinato la confisca dei 21 vasi apuli - «l’organo giudicante evidenziava una complicità con Medici degli indagati Jacques Chamay, all’epoca direttore del museo archeologico di Ginevra, e Fiorella Cottier Angeli, restauratrice, nella vendita al museo archeologico di Berlino dei 21 vasi». In alcune fotografie che facevano parte del cosiddetto «archivio Medici» si riconoscono infatti i crateri greci: «prima nella condizione di meri frammenti intrisi di terra, quindi nelle successive fasi di restaurazione, sino alla loro attuale ricomposizione integrale».

Nel corso del 2003, Wolf Dieter Heilmayer, direttore del museo archeologico di Berlino all’epoca della dubbia acquisizione, dichiarò agli inquirenti di avere preso cognizione dell’arredo funerario costituito dai 21 vasi a seguito dei contatti con il commerciante d’arte di Basilea, Cristoph Leon, il quale «operava come intermediario di Chamay, a sua volta direttore del museo archeologico di Ginevra». Wolf Dieter Heilmayer aggiunse di aver appreso dallo stesso Chamay che il complesso archeologico apparteneva alla famiglia ginevrina Cramer sin dal XIX secolo; circostanza che gli era stata confermata anche dalla restauratrice Cottier Angeli. Sebbene riferisse di non aver potuto contattare alcun componente della famiglia Cramer, precisò che aveva ricevuto (sempre tramite Chamay) la copia di uno scritto del 1976 che dava conto della divisione ereditaria dei vasi apuli.

 

 

«Sulla scorta di siffatti elementi cognitivi, estremamente labili, frammentari e scarsamente verosimili, il direttore del museo berlinese - si legge nel decreto di confisca del gip - aveva ritenuto di non avvertire le competenti autorità italiane, facendo affidamento sulla implausibile ipotesi secondo la quale quei beni archeologici era stati introdotti nel territorio svizzero nel corso del XIX secolo e, dunque, precedentemente all’entrata in vigore delle norme emesse a tutela del patrimonio storico, artistico e archeologico e, in particolare, della legge n.364 del 1909, che impone di allegare un documento che attesta la liceità dell’esportazione dei beni culturali». Anche il professor Luca Giuliani, curatore del museo archeologico tedesco all’epoca dell’acquisizione sospetta, non avrebbe verificato con attenzione la provenienza di quei reperti.

 

 

«Si può dunque affermare con tranquilla certezza - conclude il gip del Tribunale di Roma - che i responsabili del museo archeologico di Berlino (all’epoca situato nella Germania ovest) non abbiano affatto prestato la dovuta diligenza nella verifica della liceità dell’esportazione e della provenienza dei vasi acquistati alla sua collezione, appagandosi delle spiegazioni inverosimili e prive di adeguati riscontri documentali» fornite da Leon, Chamay e Cottier Angeli. Le posizioni degli ultimi due, inizialmente indagati dalla Procura capitolina per ricettazione, sono state archiviate dal Tribunale perché il reato, consumato prima del 1984, si è «pacificamente estinto per intervenuta prescrizione». Il giudice, tuttavia, ha ritenuto di poter procedere con la confisca dei 21 vasi perché «non si può attribuire la qualifica di "persona estranea al reato"» a Wolf Dieter Heilmayer, né tanto meno si può dire che l’istituzione museale tedesca sia in una «condizione di terzietà» rispetto alla ricettazione contestata inizialmente alla restauratrice e al direttore del museo di Ginevra.

I 21 vasi apuli si trovano nella sala che ospita i reperti della Magna Grecia, all’interno dell’Altes Museum. Qui e nel Pergamon Museum, situati nell’«Isola dei musei» di Berlino, è conservata l’«Antikensammlung Berlin», una delle più importanti collezioni di arte classica al mondo. Contiene migliaia di reperti archeologici delle antiche civiltà greca, romana, etrusca e cipriota, tra sculture, vasi, terrecotte, bronzi, sarcofagi, gemme incise e oggetti in metallo. La sua principale attrazione è l’altare di Pergamo.

Tuttavia, anche i 21 vasi del corredo funerario rappresentano un’attrattiva per i turisti, di cui i tedeschi ora potrebbero dover fare a meno. Il ministero della Giustizia italiano ha avviato una rogatoria internazionale, a cui la Germania per ora non ha dato risposta. Si spera che non ne scaturisca un caso diplomatico.

 

 

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