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Truffa milionaria sui bonus Covid: 440 milioni di finti crediti. Le intercettazioni: "Lo Stato si vuol far fregare"

Angela Barbieri
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La Guardia di finanza ha scoperto una maxi-truffa da 440 milioni di euro per intascare i bonus edilizi. I falsi crediti riguardavano il sismabonus, il bonus facciate e le agevolazioni sulle locazioni previsti dal Dl Rilancio per aiutare le imprese e i commercianti in difficoltà. Gli indagati sono 78, le misure cautelari 35. La base operativa era a Rimini, ma aveva ramificazioni in tutta Italia. I finanzieri del capoluogo dell'Emilia Romagna, insieme ad altri 44 reparti di tutto il Paese e con il supporto della componente aerea del Corpo, dello Scico e del Nucleo Speciale Frodi Tecnologiche, per un totale di oltre 200 militari, hanno dato avvio alle prime luci dell'alba di ieri ad una vasta operazione di polizia, nome in codice «Free credit». Ha coinvolto Emilia Romagna, Abruzzo, Basilicata, Campania, Lazio, Lombardia, Marche, Puglia, Sicilia, Toscana, Trentino e Veneto. Delle 35 misure cautelari, 8 sono in carcere e 4 ai domiciliari. Ventitré i provvedimenti interdittivi, di cui venti nei confronti di imprenditori e tre nei confronti di commercialisti. Nove di loro avevano anche presentato domanda per il reddito di cittadinanza. Altri tre avevano precedenti per associazione a delinquere di stampo mafioso. Cinquantasei indagati si erano affidati a 22 prestanome.

 

 

Neppure le recenti modifiche normative introdotte dal decreto antifrode li avevano scoraggiati ad andare avanti con la truffa. Il profitto dei reati è stato investito in attività commerciali e immobiliari (subentro nella gestione di ristoranti, acquisto di immobili e quote di partecipazioni societarie). I guadagni dei falsi crediti venivano anche trasferiti su carte di credito ricaricabili business, con plafond anche di 50mila euro. I prelievi avvenivano in contanti al bancomat. Gli stratagemmi non finivano qui. I soldi finivano anche per finanziare società con base a Cipro, Malta e Madeira. Oppure venivano convertiti in cripto valute o investiti in metalli preziosi, soprattutto lingotti d'oro. I finanzieri temevano che gli indagati potessero "sfuggire" alle perquisizioni, facendo ricorso a botole e intercapedini in cui nascondere il denaro e i lingotti. Così i militari hanno fatto ricorso ai cosiddetti «cash dog», le unità cinofile addestrate a fiutare l'odore dei soldi. L'indagine è nata «da un approfondimento di una procedura fallimentare, in cui la società in questione esibiva crediti che in realtà non c'erano», ha spiegato il capo della Procura di Rimini, Elisabetta Melotti. L'operazione «è iniziata d'estate e nel giro di qualche settimana ci si è resi conto dell'ampiezza e della complessità del panorama. Ci si è trovati davanti a un danno davvero enorme per lo Stato». Dalle intercettazioni si comprende quanto gli indagati ritenessero di essere al sicuro, convinti che mai sarebbero stati scoperti. «Lo Stato italiano è pazzesco, praticamente vogliono essere inc..», diceva uno di loro al telefono. Mentre un altro, sempre al telefono, diceva: «Su 'sti crediti non se capisce un c..., faccio un po' come mi pare..».

 

 

A parlare di «spregiudicatezza degli indagati» da un lato e di «totale assenza di controlli da parte della pubblica amministrazione» dall'altro è lo stesso gip, Manuel Bianchi, nella sua ordinanza. Un esempio su tutti: «Il 7 novembre 2021 il direttore dell'Agenzia delle entrate - si legge nel provvedimento - rilasciava agli organi di informazione la notizia (generica) della scoperta di numerosi frodi nel settore dei crediti di imposta inesistenti per importi considerevoli (800 milioni di euro) comunicando l'avvio di una specifica campagna di controlli». E «proprio al fine di limitare le frodi nel settore, l'11 novembre il Consiglio dei ministri approvava in via d'urgenza il decreto legge numero 157, recante "Misure urgenti per il contrasto alle frodi nel settore delle agevolazioni fiscali ed economiche". Ma nonostante la comunicazione dell'Agenzia delle Entrate e la modifica normativa urgente del Consiglio dei ministri, gli indagati continuano ugualmente nella creazione di crediti di imposta falsi, con l'unica accortezza di ricercare nuovi soggetti giuridici e nuovi prestanome da utilizzare per gli scopi illeciti, e la ricerca di professionisti compiacenti che, dietro compenso, possano falsamente certificare l'esecuzione dei lavori edili, come disposto dalla nuova normativa», conclude il giudice. «Fatta la legge, trovato l'inganno», si compiaceva con un complice uno degli indagati. Fino a ieri.

 

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