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Scuola proibita ai genitori senza green pass. Paragone all'attacco: una violenza

Gianluigi Paragone
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L’altro giorno ho accompagnato un papà a ritirare la figlia all’asilo. È un papà senza green pass, uno di quelli cui si abbattono gli sguardi di coloro che «fino a poco tempo fa erano i genitori delle amichette di Greta».

 

Adesso i papà e le mamme senza green pass sono diventati nemici, rappresentano il Male. C’è chi addirittura è arrivato a sostenere che «andrebbe tolta loro la patria potestà». Quel papà oggi è un nemico, contro di lui è persino lecito alzare la voce e minacciare l’intervento delle forze dell’ordine come se si trattasse di un criminale. Mi sono messo accanto a lui per ascoltare e capire: non mi capacito che ad un genitore sia impedito di accompagnare la propria figlia a scuola e andarla a prendere. Lo trovo profondamente ingiusto e violento.

«Tra l’altro una delle insegnanti della scuola, vaccinata, si è presa il Covid, costringendo così la classe alla quarantena. Pensa il paradosso: loro mi tengono fuori perché possibile untore e poi una di loro s’infetta e diventa il problema». Già, ma queste sono le regole. Niente Green Pass? Niente accompagnamento. Si affida il minore a uno sconosciuto accompagnatore, delegato obtorto collo, per accompagnare il minore in classe e altrettanto per andarlo a prendere dalla classe all’uscita. E se non si trova un delegato? «La massima concessione che ci hanno proposto è aspettare che anche le signore delle pulizia finiscono il turno e a quel punto, scuola completamente deserta, ci riconsegnano la figlia. Alle 18 se va bene».

 

Questa storia rischia di ripetersi fino a chissà quando. «Farmi un tampone? Qualche volta posso fare il tampone, certo; anzi, dal 15 di ottobre me ne dovrò fare molti di più per andare a lavorare...». La considerazione di fondo che emerge dalle chiacchierate che sto facendo con il popolo delle marce No Green Pass (marce cui partecipo e che sono ben diverse dal racconto della stampa) è la ribellione ad un principio per cui lo Stato chiede un pass per dimostrare di essere di volta in volta un cittadino sano, un lavoratore sano e un genitore sano. «Tutto perché scelgo di non vaccinarmi, avvalendomi dello spazio di libertà che il governo stesso mi riconosce».

E arriviamo così al paradosso di un Green Pass meschinamente discriminatorio, dove l’opzione del tampone come alternativa al vaccino è nei fatti una macumba che ti lanciano: costoso, doloroso, a scadenza ridottissima. E, a breve, difficile da ottenere poiché la macchina dei tamponi si ingolferà dal 15 ottobre, provocando situazioni per cui non si potrà andare a lavorare o si tarderà al lavoro visto che le farmacie non reggeranno il carico.

 

Nell’accompagnare il papà alla scuola materna della figlia ho poi dimostrato - eseguendolo su di me - come un tampone salivare rapido eseguito lì, in una stanza "emergenza Covid", metterebbe fine alle discriminazioni. Se io diventassi sindaco di Milano - come ho detto più volte - sarà la macchina comunale a gestire i tamponi: gratuiti per tutti, obbligatori anche per i vaccinati negli spazi di giurisdizione comunale, indolori. Una rete di presìdi fissi agevolerebbe l’organizzazione, in attesa della seconda fase, in cui si renderebbe possibile una esecuzione da remoto col telefonino (esempio molto smart di telemedicina).

A quel punto non ci sarebbe alcuna discriminazione tra i cittadini e soprattutto si darebbe davvero la libertà di scelta. Nell’attesa di finirla con uno stato di emergenza che solo in Italia impone un green pass così inutilmente rigoroso.

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