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La bottiglia transoceanica: il messaggio arrivato in 37 anni dal Giappone alle Hawaii

Alessio Buzzelli
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È l’epoca, questa nostra, della comunicazione e della tecnica, o meglio, del combinato disposto delle due. Mai come oggi l’essere umano ha comunicato con tale frequenza e tale ossessione; e mai come oggi, però, lo ha fatto con tanta freddezza e velocità: messaggi istantanei tutti uguali, email impersonali, brevi telefonate in cui non c’è tempo nemmeno per un «come stai». Ovvio, dunque, che faccia notizia il ritrovamento su una spiaggia delle Hawaii di una bottiglia contenente un messaggio, partita dal Giappone la bellezza di 37 anni fa. Perché una lettera affidata al caso e ai capricci delle onde è la perfetta nemesi di ciò che noi intendiamo per "comunicare": è il romanticismo contro la pianificazione assoluta, l’imprevedibile destino contro l’infallibile tecnologia, il gesto irripetibile contro l’azione sempre uguale a se stessa. È, soprattutto, la stoica attesa di una risposta che potrebbe non arrivare mai contro la smania della risposta immediata in dieci secondi, ché altrimenti ci offendiamo. Da questo punto di vista, insomma, non c’è storia, perché una bottiglia che ha sfidato per quasi 40 anni fato e oceano ha così tanto da raccontare quanto una email, foss’anche la più profonda, non potrebbe mai fare.

 

 

E la storia di oggi è quella, bellissima, di Abbie Graham, bambina hawaiana di 9 anni, che a giugno scorso ha ritrovato la bottiglia in questione sulla spiaggia dell’isola in cui è nata. Al suo interno ha trovato un messaggio spedito nel 1984 da una scuola superiore nell’ambito di un esperimento per monitorare le correnti del Pacifico: ad abbandonarla alla mercé del mare sono stati gli studenti del club di scienze naturali della scuola superiore di Koshi, nella prefettura orientale di Chiba, in Giappone. La bottiglia ha così percorso oltre 6mila chilometri e attraversato quasi quattro decenni prima di finire nelle mani di Abbie, la quale pochi giorni fa, grazie ai riferimenti lasciati nel messaggio dagli studenti giapponesi, ha subito scritto alla Koshi High School per comunicare il clamoroso ritrovamento. Ma non ha risposto con un messaggio dallo smartphone, né una asettica email. Ha inviato invece anche lei una lettera, in cui, oltre al testo, c’era pure un disegno che la ritraeva in compagnia della sorella mentre mangiano del sushi.

 

 

Un modo di rispondere oggi considerato fuori dall’ordinario e proprio per questo adeguato al raro evento di cui la bimba è stata protagonista, nonostante il messaggio non contenesse lettere d’amore strazianti né inconsolabili parole d’addio. E, anzi, è spesso accaduto nella storia che molti dei messaggi ritrovati nelle bottiglie "naufraghe" che sono riuscite ad arrivare in qualche modo a toccare terra fossero assai poco romantici: il più antico messaggio rinvenuto in questo modo, per esempio, era anch’esso un esperimento sulle correnti marine. Fu gettato in mare in una bottiglia di Gin nel 1886 dal capitano della nave Paula - salpata a Cardiff e diretta in Indonesia – e ritrovata ben 132 anni dopo dalla signora Illman su una spiaggia dell’Australia occidentale. E forse il bello di queste cose sta proprio in questo: non importa quello che c’è scritto sui messaggi, ma la storia che sanno raccontare.

 

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