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Lo spezzatino su Monte dei Paschi di Siena è solo figlio di una vergogna targata Partito Democratico

Riccardo Mazzoni
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Piero Fassino, quando disse a Consorte «abbiamo una banca», finse di dimenticare che Pci-Pds-Ds-Pd una banca ce l’ha sempre avuta: il Monte dei Paschi. Siena è stata per decenni il feudo politico-finanziario della sinistra, e non è un caso se, andata in crisi la banca, è imploso anche il sistema di potere che controllava la città. Quando, per la prima volta dal dopoguerra, la giunta rossa finì in minoranza a causa delle insanabili faide interne e il Comune fu commissariato, il fatto fu talmente eclatante che il governo Monti tentò, su pressante richiesta del Pd, di anticipare il voto amministrativo solo a Siena, un blitz senza precedenti che fu sventato dalle proteste del centrodestra. Ora il Pd strepita per l’ipotesi che la storia della banca più antica del mondo finisca in uno spezzatino, con la parte sana incorporata in Unicredit. Ma la soluzione finale è solo l’inevitabile conseguenza delle commistioni neanche troppo coperte fra una banca per secoli solidissima e gli interessi di una politica sempre più pervasiva. Una galassia che il Financial Times descrisse in modo brutale: «Un semplice scambiarsi soldi tra amici».

 

 

Il Monte, insomma, si è progressivamente trasformato da banca della senesità (in quindici anni la Fondazione riversò sul territorio quasi due miliardi di euro) nello strumento finanziario della politica di sostegno alle ambizioni nazionali della sinistra. In questa direzione si mosse, nel 1999, l’acquisizione della Banca del Salento, un istituto privato pagato 2.500 miliardi in un’asta al rialzo con il San Paolo di Torino. Dopo l’operazione, sbarcò a Siena de Bustis, manager della banca salentina, molto amico di D’Alema, che si era inventato anche Banca 121, e nel giro di un anno scoppiò la grana «4 You» e «My Way», prodotti finanziari dell’ex Banca 121: un caso eclatante di risparmio tradito di cui Monte dei Paschi dovette farsi carico rimborsando i sottoscrittori. I bilanci del Monte si appesantirono via via dell’enorme massa di Btp accumulati in pancia (22 miliardi), e la situazione fu aggravata dall’acquisto di Antonveneta, fatto in nome e per conto della sinistra europea con il placet di Bankitalia, regalando al Santander spagnolo una plusvalenza di tre miliardi.

 

 

Operazioni finanziariamente sbagliate di fronte alle quali il soccorso pubblico non è mai mancato: l’agenda Monti, ad esempio, prevedeva anche il salvataggio di Mps, attraverso un prestito dello Stato di 3,9 miliardi di euro sotto forma di obbligazioni: mentre gli italiani versavano un pesantissimo saldo Imu, le casse dello Stato riversavano - per volontà del governo - 3,9 miliardi al Monte dei Paschi, cifra che coincideva proprio con l'ammontare dell'Imu sulla prima casa. Le convulsioni di questi giorni sono dunque solo l’ultimo capitolo di una lunga saga di conflitti d’interesse tutti interni al maggior partito della sinistra che candida proprio nel seggio di Siena il suo segretario nazionale, in una sorta di Risiko politico-finanziario dagli esiti ancora incerti e in cui il Pd non si rassegna a dire «avevamo una banca».

 

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