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Green pass: ben venga il «lasciapassare» ma i tamponi siano gratuiti. Nessuno va discriminato

Andrea Amata
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Sul green pass occorre emancipare il dibattito dalle paturnie ideologiche, che si incolonnano in schieramenti belligeranti. La questione dovrebbe essere affrontata con i codici del buonsenso. Il duello fra presunti segregazionisti e aperturisti risponde a una fuorviante semplificazione con una carica virale di suggestioni da cui dovremmo immunizzarci con la monodose del realismo. Il green pass non rappresenta un obbligo, ma un requisito per esercitare delle facoltà. Condizionare l’accesso a un evento o a una struttura al possesso di un titolo - certificazione verde - tutela la convivenza sociale dall’insidia della malattia, oltre a motivare la mobilitazione vaccinale dei più tiepidi al siero immunizzante. Il «lasciapassare» può essere una soluzione sia per il contenimento epidemico sia per la ripresa economica di determinate attività che sono state depotenziate dal rispetto dei protocolli di sicurezza sul distanziamento, finendo ridimensionate nella fruizione dei loro servizi. Dotarsi del QR code, che attesta l’avvenuta vaccinazione, potrebbe liberare i locali dagli obblighi sul distanziamento, che ne limitano la capienza, con effetti accrescitivi sul fatturato.

 

 

Per quanto concerne la platea di cittadini che non possono ottenere la certificazione, perché non hanno completato la vaccinazione con la seconda dose o per cause indipendenti dalla loro volontà, escluderli dal godimento di alcuni servizi non sarebbe opportuno, potendo configurarsi un’inaccettabile discriminazione. Per questi il governo dovrebbe assicurare la gratuità del tampone molecolare o antigenico allo scopo di uniformare il trattamento per l’accessibilità agli spazi preclusi a chi è sprovvisto di certificazione. Al netto delle negligenze comunicative sui vaccini, che hanno alimentato una diffidenza sulla materia nel momento meno propizio, essendo stati funestati dallo tsunami pandemico, occorre ribadire fino allo sfinimento il prodigio delle vaccinazioni nella resistenza al virus, avendo mitigato l’impatto clinico grave nei contagiati e attenuato la propagazione dell’agente patogeno. La comunicazione andava mirata per fasce di età con un messaggio calibrato sui destinatari, differenziandone il contenuto in base al target. Si dibatte sull’introduzione dell’educazione gender nelle scuole, invece di far attecchire nei luoghi educativi una precoce consapevolezza sull’utilità della profilassi anti-Covid. Con le mutazioni genomiche del virus, che si declinano in varianti sempre più aggressive, occorre proseguire nella profilassi senza replicare, tuttavia, i disordini della gestione emergenziale tarata sul panico del precedente governo giallorosso.

 

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