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Il 25 aprile è una festa di tutti, non solo dei comunisti. Troppa "Bella ciao"

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Giovanni Masotti
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È giusto, sacrosanto, patriottico, ricordare e festeggiare il 25 aprile di 76 anni fa, che segnò la sconfitta del nazifascismo e la vittoria dei partigiani. Quello che convince di meno è insistere alquanto ipocritamente su parole impegnative come ricostruzione, nuovo Risorgimento, unificazione del Paese dilaniato dalla guerra, solidarietà. Tutto questo non c'è stato - o c'è stato poco - e non c'è oggi. Perché i comunisti e i loro accoliti, allora, si intestarono la Resistenza, che fu invece la lotta di un coacervo di forze che comprendeva - per esempio - i cattolici, i liberali, i monarchici, gli azionisti. E continuarono ad attribuirsi, i seguaci dell'Urss e di Togliatti, questa rinascita della democrazia e della libertà come «cosa loro», santuario inviolabile del socialismo marxista e dei suoi militanti.

 

 

Questo atteggiamento arrogante ed esclusivista ha finito, nel corso degli anni, per disaffezionare alla ricorrenza del 25 aprile un gran numero di italiani stufi di constatare che la Liberazione sia stata monopolizzata dai comunisti, gli stessi che tentarono di inserire la nostra Italia nell'orbita del feroce impero sovietico. Eh, no. C'è qualcosa che stona in questo anniversario. Troppe bandiere rosse e pochi tricolori. Troppe «bella ciao» e poco inno di Mameli. Se si vuole che la Liberazione torni ad essere patrimonio di tutti, occorre che a sinistra la smettano di pensare e predicare a loro uso e consumo. Questa festa è di tutti o non è. I comunisti facciano un passo indietro e riconoscano il contributo essenziale dato dagli altri, quelli che loro vorrebbero cancellare sfacciatamente con una bella dose di inchiostro rosso. La smettano, come naufraghi che stanno per essere inghiottiti dall'oceano, di attaccarsi disperatamente a un passato che hanno tentato invano di travisare. La realtà è un'altra. È la storia che ce lo dice.

 

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