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Causa la demenza senile e mette a rischio la salute: ecco quale cibo bisogna evitare

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Occhio a ciò che si mangia, il cibo può avere effetti collaterali indesiderati. In particolare è possibile che mangiare due fette di bacon al giorno può causare la demenza senile? Sì, almeno secondo l’Università di Leeds, che ha stabilito che il consumo quotidiano di carni lavorate induce un incremento considerevole del rischio di declino mentale. La ricerca, riportata da Dagospia, ha riguardato 50mila persone nel Regno Unito e ha concluso che un consumo medio giornaliero di 25 grammi di carni lavorate (una quantità appunto pari a due fette di bacon) aumenta il rischio di demenza senile del 44%. I prodotti più nocivi alla salute (non soltanto quella mentale), riguardano i prodotti lavorati come salsicce, carni in scatola e insaccati.

 

 

Lo studio indica allo stesso tempo come l'assunzione quotidiana di 50 grammi di carni di manzo, suino o vitello, possa contribuire ad una riduzione del 19% del rischio di demenza. Gli studi precedenti avevano stabilito un nesso tra la carne e la demenza senile, ma fino ad ora non era mai stato esaminato il tipo specifico di carne maggiormente responsabile. Il database UK Biobank, contiene informazioni genetiche dettagliate su 493.888 adulti di età compresa tra i 40 e i 69 anni. Tra questi,  i ricercatori hanno scoperto uno sviluppo di demenza che ha colpito circa 3.000 persone, nell'arco di 8 anni. I soggetti in questione erano per la maggior parte anziani, economicamente instabili e meno educati e soprattutto non praticavano uno stile di vita particolarmente salutare.

 

 

Gli individui con una predisposizione genetica alla demenza, presentavano un rischio da 3 a 6 volte di contrarre una forma di demenza. Per questi soggetti, il consumo di carni lavorate non ha tuttavia aumentato il rischio, nonostante la predisposizione genetica. Sul tema è intervenuta la professoressa Janet Cade: “Tutto ciò che possiamo fare per esplorare i potenziali fattori di rischio per la demenza può aiutarci a diminuire il numero di persone affette da questa condizione. Questa analisi è un primo passo per capire se ciò che mangiamo possa influenzare questo rischio”.

 

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