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Coronavirus, inchiesta di Bergamo: la Finanza al Ministero della Salute e all'Istituto Superiore di Sanità

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La questione piano pandemico nazionale del 2017, che si ritiene una sorta di copia-incolla di quello del 2006, e il nodo ancora da sciogliere della bozza di aggiornamento stilata dal Cts nel 2020. Bozza che non sarebbe stata divulgata, forse – questa è l'ipotesi della Procura di Bergamo - per non spaventare gli italiani di fronte alla pandemia che si preannunciava inevitabile.

Sono questi alcuni dei documenti che gli uomini della guardia di finanza hanno acquisito, su input dei pm orobici coordinati da Antonio Chiappano, negli uffici del ministero della Salute, all'Eur e sul Lungotevere, e all'Istituto superiore di sanità. Le fiamme gialle si sono fatte consegnare documentazione cartacea ed elettronica in grado di fare luce sul perché, quando ormai il virus bruciava in Val Seriana e in altre zone della provincia di Bergamo, non sia stata istituita per tempo una 'zona rossa' come qualche giorno prima nel Lodigiano. Un'inerzia che potrebbe essere costata decine e decine di vite.

A portare alla luce la controversia sul piano pandemico nazionale, invece, è stato il ricercatore dell'Oms Francesco Zambon, uno degli autori della discussa pubblicazione sulla reazione dell'Italia alle prime fasi del contagio. Lo studio è rimasto sul sito dell'organizzazione internazionale appena 24 ore. Zambon ha riferito ai magistrati e ai media che Ranieri Guerra - direttore generale vicario per le iniziative speciali dell'Oms e fino al 2017 dg della medicina di prevenzione del ministero della Salute - gli aveva chiesto di scrivere in quelle pagine che il piano pandemico italiano era stato aggiornato al 2016, mentre invece questo non corrisponderebbe al vero. Dopo il rifiuto di Zambon, il report sarebbe stato ritirato dall'Oms.

Ad ammettere che qualcosa non ha funzionato, anche il viceministro della Salute Pierpaolo Sileri. "Il piano pandemico è rimasto quello del 2006, nonostante diversi alert - aveva detto in tv - Dunque: che cosa è successo in tutti questi anni al ministero? Perché gli alert non sono stati ascoltati? Possibile che chi aveva il compito di aggiornare il piano pandemico si sia limitato a clonare il precedente senza nemmeno cambiare le date?".

Interrogativi che i pm vogliono rivolgere anche al ministro della Salute, Roberto Speranza, che potrebbe essere risentito a verbale nei prossimi giorni per completare la testimonianza resa a Roma lo stesso giorno in cui erano stati sentiti anche il premier, Giuseppe Conte, e la ministra dell'Interno, Luciana Lamorgese.

Ma c'è di più. A finire sotto la lente dei pm bergamaschi è stato anche il piano pandemico della Lombardia. Proprio per questo le fiamme gialle si sono presentate anche nelle sedi della Ats di Bergamo e dalla Asst di Bergamo est e in Regione Lombardia, nella speranza di aggiungere un nuovo capitolo al filone dell'inchiesta sulla chiusura e sulla veloce riapertura del pronto soccorso di Alzano Lombardo, dopo l'arrivo dei primi pazienti Covid.

Per far luce su questo punto, il 19 e 20 gennaio i pm hanno convocato alcuni tecnici del ministero guidato da Roberto Speranza, tra cui Giuseppe Ruocco, dg della Prevenzione sanitaria del dicastero, il suo predecessore Claudio D'Amario, e Francesco Maraglino, responsabile dell'Ufficio 5 'Prevenzione delle malattie trasmissibili e profilassi internazionale' del ministero.

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