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Reithera, il vaccino italiano anti Covid funziona. Ma l'allarme dosi resta, Garattini: "Troppa disorganizzazione"

Giada Oricchio
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Mentre Silvio Garattini, scienziato, farmacologo e presidente dell’Istituto Mario Negri, tuona a “L’Aria che Tira” sull'emergenza dosi ancora insufficienti, Franco Locatelli, presidente del Consiglio Superiore di Sanità (ISS), apre alla speranza sul vaccino italiano. Da ReiThera arriva infatti una buona notizia: “I risultati della fase 1 del vaccino sono promettenti. Saremo pronti per l’estate” annunciano in conferenza stampa all'ospedale Spallanzani di Roma in merito agli esiti e ai risultati della Fase 1 della sperimentazione del Vaccino ReiThera GRAd-CoV2. “E' un momento importante, oggi parliamo dei risultati ottenuti nello studio di fase 1. Sono più che promettenti - annuncia Locatelli -Questo vaccino dimostra la capacità che la nostra nazione ha negli orizzonti più sfidanti e impegnativi. Quando si ha uno strumento in più si può creare un'immunizzazione diffusa che è l'unico modo per uscire dalla pandemia, l'Italia è in grado di giocarsi partite importanti dal punto di vista competitivo”.

Al suo fianco, Antonella Folgori, presidente ReiThera: “Il vaccino protegge dal Virus ed è ben tollerato. Possiamo mirare a una produzione di 100 milioni di dosi l'anno. Il vaccino è stabile a una temperatura tra 2 e 8 gradi. Il governo ha destinato una quantità di risorse sufficienti per lo sviluppo successivo di Reithera, nella fase 2 e 3 entrerà nel capitale dell'azienda che ha già presentato una proposta di investimento. Ottimismo anche da parte di Giuseppe Ippolito, direttore Scientifico dell'INMI Spallanzani: “Abbiamo dimostrato che come i vaccini Pfizer e Moderna la risposta in termini di anticorpi è simile, la fase 3 arriverà ma comparando i dati siamo in linea. Possiamo lavorare nella fase 2 prevedendo diverse opzioni per essere flessibili. Vogliamo chiudere la fase 3 entro l'estate”.

Ma l'allarme dosi per vaccinare a tappeto la popolazione resta. E il farmacologo Garattini,  a “L’Aria che Tira”, lo spiega benissimo: ancora troppe incertezze, disorganizzazione mentre si va a rilento. “Mancano le dosi. Siamo disorganizzati e il governo ha sbagliato a puntare su un solo vaccino” dice lo scienziato che mette in fila tutte le criticità del piano vaccinale in Italia: “C’è una falsa partenza? Sì, ci sono tanti problemi, innanzitutto dei ritardi. Noi, come Istituto abbiamo scritto al Governo, che bisognava seguire lo sviluppo dei diversi vaccini e non puntare su un solo cavallo. Purtroppo abbiamo aspettato l’Europa che è arrivata tardi, abbiamo puntato su Astra Zeneca che è in ritardo, mentre con Moderna gli accordi sono stati chiusi solo un mese e mezzo fa quando si sapeva che il vaccino era molto avanti. Perché abbiamo aspettato? Lo sapevamo da agosto che a fine anno sarebbero stati pronti i vaccini. Mi sembra strano che il reclutamento di mediamo più problemi a cui fare attenzione, non si tratta di polemizzare, ma di metterci insieme per fare meglio”.

Ma il vero allarme, secondo lo scienziato è nell’esiguo numero di dosi: “Dobbiamo stare attenti al numero di vaccini, noi ne abbiamo pochi e senza quelli non si va da nessuna parte. Sappiamo che servono due dosi per ciascuna persona, quindi allo stato attuale si deve aspettare più di un anno per avere una buona quota di persone immuni. Questo è un problema fondamentale”.

Sul caso AstraZeneca, Garattini mette in luce i problemi: “Per qualche ragione hanno pasticciato nella somministrazione  delle dosi. Non è chiaro cosa sia successo, credevano di aver dato una dose intera e invece era mezza, pertanto la percentuale di efficacia è risultata molto più bassa degli  altri due vaccini e questo ha chiesto nuove ricerche e studi. Poi c’è l’altro problema non chiaro dei rapporti con il vaccino russo, molto simile. Perché AstraZeneca viene somministrato in Gran Bretagna? Ipotizzo che avendo molte più dosi di noi a disposizione possano pensare a strategie diverse, somministrare quello meno attivo a certe categorie e quello più attivo alle persone a rischio, il loro piano cambia continuamente. Guardare all’Inghilterra è sbagliato, non è l’esempio migliore per noi. Dobbiamo guardare all’Ema e alla Food and Drug Admnistration. Ripeto: c’è un problema di disponibilità di vaccini e di organizzazione, sull’organizzazione possiamo intervenire in fretta, sulle dosi no. Se dobbiamo guardare a cosa fanno in Russia e Cina? Bisogna guardare a tutti, ci sono tante industrie che li stanno sviluppando anche se in ritardo, Russia e Cina però devono mettere a disposizione tutti i dati, non possiamo accettare un vaccino di cui non sappiamo nulla. L’Ema deve poter valutare quegli studi e se fosse un sì, sarebbe la svolta”.

Infine sull’obbligo di vaccinazione, il professore è lapidario: “E’ inutile parlare di cose che non possiamo fare, se non abbiamo il vaccino, non possiamo obbligare la gente. Dobbiamo fare una buona campagna di comunicazione sul vaccino, c’è troppo gente che non vuole farlo. Spieghiamo come è fatto e quali sono i numeri, chi ha avuto il placebo e chi no. Serve una comunicazione efficace”.

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