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I Cinquestelle perdono per lo stesso motivo per cui vincevano: perché non hanno un'identità

Luigi Di Maio, Alessandro Di Battista e Sara Marcozzi

Carlantonio Solimene
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Dare una spiegazione del crollo del MoVimento 5 Stelle nelle Regionali abruzzesi è molto più difficile di quanto potrebbe apparire. Ci sono ragioni storiche, certo: come le ormai note difficoltà di Luigi Di Maio & Co nelle elezioni locali, dovute anche alla scelta di non allearsi mai con altre liste. E ci sono ragioni contingenti, come l'innegabile poco appeal di una candidata, Sara Marcozzi, che era stata di fatto bocciata dagli elettori già 5 anni fa. Ma queste motivazioni non bastano a spiegare un tracollo che è andato ben oltre le previsioni. Entrano in gioco, allora, motivazioni più politiche. O che, per meglio dire, hanno a che fare con il governo nazionale. Un'analisi distratta potrebbe sostenere che l'elettorato non è contento di quello che sta facendo l'esecutivo. Ma verrebbe da chiedersi perché, se fosse davvero così, a pagarne lo scotto sia solo un vicepremier, Di Maio, e non l'altro, Matteo Salvini, che anzi sta conoscendo un innegabile boom. E non basta a spiegare questa discrasia il fatto che il leader leghista risponda soprattutto per la politica migratoria e quello grillino soprattutto per quella economica, in evidente difficoltà. A dirla tutta, io credo che questo sia un assunto sbagliato. Credo, anzi, che l'elettorato dei Cinquestelle sia più che soddisfatto dell'operato al governo dei propri rappresentanti. In fondo, al momento i vari Di Maio, Bonafede, Fraccaro ecc hanno portato a casa risultati molto sentiti dal MoVimento: penso al reddito di cittadinanza, al ricalcolo dei vitalizi per gli ex parlamentari, al decreto SpazzaCorrotti, al taglio dei finanziamenti all'editoria, ai primi passi mossi sia sulla riduzione dei parlamentari sia sul referendum propositivo. Il tutto – lo sottolineo perché per quel tipo di elettorato è un aspetto fondamentale – senza essere incappati in accuse di corruzione o avvisi di garanzia. Certo, ci sono stati anche dei compromessi: la retromarcia sull'Ilva, il “condonino” fiscale e quello edilizio. Ma ampiamente compensati dai successi. Allora perché questo crollo? A mio avviso, perché l'elettorato dei Cinquestelle è stato estremamente sovrastimato alle elezioni politiche del 2018. In altre parole, i sostenitori “identitari” del MoVimento – quelli che conoscono e sostengono sul serio battaglie come quelle sull'acqua pubblica, sul No Tav, sulla democrazia diretta ecc – sono su per giù la metà di quelli che realmente un anno fa hanno votato per Di Maio. Se il MoVimento 5 Stelle si è innalzato fino al 32% a livello nazionale – sfiorando il 50% al Sud – è stato essenzialmente grazie al voto di protesta. Al voto di chi voleva semplicemente e legittimamente dare un calcio nel sedere a chi aveva amministrato fino a quel momento. Sintetizzando, al voto – mi si perdoni il termine – del grillesco “vaffanculo”. È chiaro che, una volta al governo, una piattaforma del genere è destinata a mostrare dei limiti. Gli elettori pescati a sinistra restano spiazzati da certe derive “salviniane” sul tema dell'immigrazione o su certe “forzature” contro le istituzioni. Quelli pescati a destra storcono il naso di fronte a provvedimenti come il reddito di cittadinanza o alla conclamata diffidenza nei confronti delle grandi opere. Gli elettori strappati al Pd tornano così a gonfiare le file dell'astensione, perché i Dem non sono ancora riusciti a individuare né una piattaforma né un leader in grado di rianimare il partito, se mai ci riusciranno. Quelli strappati al centrodestra si affidano invece a Salvini, bravissimo a smarcarsi mediaticamente dai provvedimenti economici meno graditi. E al MoVimento restano solo i fedelissimi. Alla luce di queste considerazioni, il risultato del MoVimento 5 Stelle in Abruzzo non è neanche del tutto da disprezzare. Contare su un elettorato “identitario” pari al 20% dei partecipanti al voto è un punto di partenza importante. Ma costruire una forza egemone pensando di poter tenere al proprio interno istanze talvolta diversissime può funzionare solo quando sei all'opposizione, nel momento del “vaffa”: perché catalizzi il dissenso e, di fatto, non "respingi" nessuno. Ma al governo vanno fatte delle scelte, e le scelte dividono. È questa la differenza sostanziale tra i due populismi al governo. Uno – la Lega – ha radici ideologiche più precise. L'altro, di fatto, non ne ha. Certo, si parla di ideologie diverse dal passato. La destra di Salvini non è quella di Berlusconi né quella della vecchia Dc. Ma ha comunque un'identità chiara. Stai a vedere che, dopo aver celebrato a lungo la fine delle ideologie, oggi tocca riconoscere che, in fondo, sono sempre loro a garantire una stabile tenuta elettorale.

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