chiusi in hotel

Roberto De Zerbi e lo staff bloccati in Ucraina: “Non potevo girare le spalle allo Shakhtar”

L’ex tecnico del Sassuolo Roberto De Zerbi, attuale allenatore dello Shakhtar Donetsk, è bloccato col suo staff e con diversi calciatori della sua squadra in un noto albergo del centro di Kiev, in Ucraina. Dopo l’attacco militare della Russia è stato immediatamente sospeso il campionato ucraino. Sabato non si giocherà. E ovviamente non ci si può neanche allenare. Con De Zerbi ci sono otto italiani tra i suoi collaboratori, a cui è precluso il rientro in Italia. L’aeroporto è chiuso. Secondo varie fonti ci sarebbero state due forti esplosioni nei dintorni dell’albergo intorno alle cinque di stamattina.

 

  

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«Me ne sto in camera, è una brutta giornata. Ho aspettato a lungo che la federazione sospendesse il campionato, fin da quando è successo quel che è successo col Donbass… Però non mi sono mosso, perché io sono qui per fare sport e non potevo girare le spalle al campionato, ai tifosi che ci seguono… Ho tredici ragazzi brasiliani, il mio staff… Potevamo tornare a casa almeno fino a quando non ci fosse stata sicurezza, no, abbiamo aspettato… Stanotte ci hanno svegliato le esplosioni». Questo il racconto di De Zerbi dall’Ucraina, che poi ha continuato così l’intervista: «Stamattina hanno sospeso il campionato e dalle finestre dell’hotel Opera abbiamo visto file di auto che si muovevano… Credo che stiano andando in Polonia… L’Ambasciata italiana ci aveva sollecitato di andarcene ma non potevo, ripeto, io uomo di sport, girare le spalle al club, al calcio e andarmene così...e alla fine hanno chiuso lo spazio aereo e si sta qui...». 

 

 

La situazione è delicata, in continua evoluzione: «Non credo almeno per ora che siamo a rischio, sono venuto qui per fare sport, davvero, e mi armo di pazienza - prosegue De Zerbi -. Non sono venuto per soldi, me ne offrivano di più in Italia, ma per fare esperienza… E ora aspetto. È un’esperienza triste anche questa. Penso al grande Maradona che quando ce n’era bisogno diceva quel che pensava ai padroni del calcio».