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De laurentiis alle prese con un calcio vecchio

De Laurentiis e Mazzari

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Questo calcio è vecchio. Come tutti i grandi personaggi, quelli che nella vita si sono fatti, oltre ad un nome, anche un cognome, Aurelio De Laurentiis sessantenne di Torre Annunziata, ma da sempre cittadino del mondo, ha scelto la sua frase. Da quando, era il 2004, acquistando il Napoli è entrato nel rutilante universo del pallone italico. Questo calcio è vecchio, ripete ad ogni occasione, scontrando la sua visione manageriale, di grande imprenditore cinematografico, con quella dell'industria calcio. Ci mette i soldi l'uomo che produce il filmone di Natale: li mette in un Napoli che ha salvato dal fallimento o - e non si sa proprio quale sarebbe stata l'ipotesi peggiore - dall'arrivo di Luciano Gaucci, all'epoca dei fatti - cinque anni fa - ancora non folgorato dal fascino extraterritoriale di Santo Domingo. Dunque, anche il tifoso partenopeo più sfegatato e critico, quello che vorrebbe lo scudetto e il nuovo Maradona in campo, rispetta «O' presidente». Ma forse comincia a non amarlo più come un tempo. Anche perché, a forza di confrontarsi con un mondo vecchio come quello del nostro pallone, Aurelio De Laurentiis ha finito per fare le cose vecchie di questo Barnum della pedata. Erano i tempi eroici delle serie inferiori e mentre il presidentissimo parlava ai cronisti dello «stadio virtuale», gli abbonati delle tivvù a pagamento, i risultati scarseggiavano. Morale, come un qualsiasi suo collega, nella più tipica espressione del vecchiume di questo sistema, esonerava l'allenatore Ventura, quello che sta facendo bello il Bari in questo inizio di serie A. «Non cambio mica il regista a metà delle riprese», rispondeva a chi domandava del possibile esonero di Edy Reja, l'allenatore della serie A. Poi, però, dopo una gara con la Lazio nella scorsa stagione, ecco il ben servito al tecnico della promozione e il via dell'avventura con Donadoni. Che adesso ha fatto la stessa fine dopo il disastroso avvio di stagione. Nel frattempo però, a proposito di registi e direttori generali, ecco un altro «esonero» eccellente: quello di Pierpaolo Marino, il factotum del Napoli di questi ultimi anni. Perché De Laurentiis è abituato così. A fare e poi disfare. Sempre guardando avanti, sempre pensando al domani. Così, per una naturale sovrapposizione, il campione del Napoli diventa come l'attore strapagato. Due divi che vanno coperti d'oro, ma anche richiamati all'ordine. Si leggono così le sfuriate su Lavezzi, croce e delizia della sua presidenza: l'argentino posto sotto contratto e non più osannato come il nuovo Diego Armando Maradona. A Napoli rispettano il presidente, ma non lo vedono quasi mai. Hotel Vesuvio come casa per i brevi periodi partenopei. Il ritiro della squadra a Castelvolturno. I domicili del produttore che comanda al Napoli sono lontani da Piazza dei Martiri e dalla collina di Posillipo. Meglio la Piazzetta di Capri e l'Hotel Quisisana. Un set molto più cinematografico per il suo tempo libero, i suoi affari, i suoi pensieri. Un tempo c'era il rito della cena: la squadra, prima delle gare al San Paolo, mangiava col presidente che il sabato sera stava con loro. Poi questa abitudine s'è sgranata, fino a scomparire. Perché De Laurentiis, capace di smontare e rimontare il film in questione se il prodotto non lo convince, vorrebbe fare così anche col paludato calcio, quello delle liturgie pagane consacrate: squadra che vince non si tocca, abbiamo fatto la nostra partita, nessuna paura dell'avversario, solo rispetto. Le frasi fatte che per lui, grande comunicatore, sono come il rosso per un toro. Non a caso qualche domenica fa col Napoli traballante, il terremoto della ristrutturazione societaria era stata anticipata dai microfoni televisivi. Una diretta che dalle ore 14 fino a notte inoltrata ha scandito le scelte del presidente. E forse è proprio questo il grande limite: accentrare troppo, per poi fidarsi di intuizioni non sempre azzeccate. Perché poi una moglie e un figlio come vicepresidenti sanno di gestione familiare, e non proprio di moderno. E poi decisioni importanti rivendicate con un pizzico di colore. Come quella di Donadoni, tecnico scelto perché abitava nello stesso condominio di una zia milanese, anche se poi il consiglio pare sia arrivato direttamente dai vertici della federcalcio, dove Donadoni aveva lavorato come cittì due anni. Intendiamoci: uno che spende di questi tempi 52 milioni di euro per il mercato del Napoli, quando Berlusconi vende Kakà, merita rispetto e considerazione e non solo dai tifosi partenopei. Eppure, in questa ricerca del nuovo, di una struttura adeguata, De Laurentiis - tra una riunione a Roma, un volo a Los Angeles, una puntata a Capri - decide. Quale sarà il film del prossimo Natale e il terzino per rendere la difesa più solida. Il suo Blackberry è sempre acceso. E non solo per attrici e giocatori. Vuoi un biglietto omaggio per il San Paolo? Con lui devi parlare. Un accentratore nato, consapevole dei propri meriti e delle proprie qualità. Uno che vorrebbe che il calcio fosse un grande film, una saga: spessore europeo, valenza intercontinentale. Ma che poi incassa 17000 abbonamenti al San Paolo che non sono certo il massimo della vita per una società che - con la presentazione sul transatlantico quest'estate - sembrava destinata a togliere il sonno a Inter e Juventus. Magari accadrà. Ma per ora questo film è in sala di montaggio. E per Natale, di sicuro, non sarà pronto.

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