La notizia, prima ancora di verificarne i dettagli, la portata e le dimensioni, ci prende un po' in contropiede perché appartiene ad un filone che si sperava ormai esaurito.
Nel1975 mi trovavo a Praga per assistere ad un incontro di Coppa Davis tra Cecoslovacchia e Francia. Martina Navratilova, con la quale avevo già fatto amicizia in altre occasioni, mi comunicò spontaneamente di avere deciso di trasferirsi negli Stati Uniti pregandomi di mantenere il segreto almeno fino a quando lei fosse rimasta in Cecoslovacchia. Qualche mese prima la sua Federazione le aveva imposto di giocare i Campionati Europei Dilettanti, una manifestazione morta sul nascere tanto era sbagliata nel momento in cui il tennis stava diventando ufficialmente professionistico. «Se rimango qui, mi aveva confidato Martina, non riuscirò mai a diventare una campionessa». Poche settimane dopo Martina annunciava ufficialmente a New York la sua intenzione di cambiare residenza e cittadinanza. Il caso è stato importante perché la Navratilova è diventata la più forte tennista del mondo ma è facile immaginare in quante occasioni lo sport abbia aiutato giovani atleti di qualsiasi livello e di qualsiasi disciplina a trovare migliori sistemi di vita o migliori opportunità per la loro carriera. Le Olimpiadi, i campionati del mondo ed altre competizioni internazionali, soprattutto quelle di squadra, hanno rappresentato splendide opportunità per realizzare trasferte e trasferimenti, che poi sono diventati definitivi, che individualmente non sarebbero stati possibili. Nello spiegare come mai trent'anni fa i tennisti dei paesi dell'Est europeo fossero più disposti dei loro colleghi di paesi dove era più facile ottenere un passaporto o prendere un aereo era stato naturale individuare nelle maggiori possibilità di movimento che lo sport garantiva la ragione prevalente. Il passaporto, prima ancora dei soldi, era la molla più forte per spingere gli atleti ad ottenere i risultati che permettessero loro di partecipare alle competizioni internazionali. Anche perché lo sport ha sempre rappresentato, anche nei paesi dove le leggi erano più severe e più rigide, un settore dove c'è sempre stata minore attenzione e soprattutto maggiore indulgenza nei confronti degli atleti. Non so se il caso venuto alla luce nell'ambito dei mondiali di nuoto possa inserirsi in una casistica che si sperava esaurita. In ogni caso mi fa piacere che lo sport possa rappresentare una chiave di lettura importante per verificare se esistono ancora situazioni e paesi dove c'è bisogno di una copertura sportiva per lasciare il proprio paese.