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Come fece Marco Polo a parlare con i cinesi?

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Per arrivare, ripartire, ritornare e proseguire, ci sono soprattutto i taxi. I più fortunato hanno gli autisti, ma sono una minoranza e non meritano attenzione. Gli altri, tutti gli altri, salgono sulle macchine cinesi, verde e ocra, il colore scelto a Pechino per i taxi. E a questo punto comincia una vera e propria avventura. Perché nessuno parla inglese. Punto primo: ci si saluta. Qui Ciao è facile si pronuncia Niaho. No, non chiedete la scrittura occidentale, sarebbe inutile. Bene, lui risponde cordiale, Niaho, con lo sguardo illusorio: magari quast'occidentale parla cinese. La delusione si dipinge sul suo volto in tempo reale:quando vede che dallo zaino d'ordinanza (tutti ne hanno uno, servono troppe cose al seguito) spunta la magica cartina. I più «sgamati» ne hanno catturata una con le scritte in cinesi conquistata da qualche anima pia - recpetion dell'hotel, centro stampa, centro televisivo, interprete - che s'intenerisce davanti all'incomunicabilità assoluta di quasi la totalità degli occidentali in questa sconfinata città. Bene, la mappa è chiara - tranne la grafia - ma sopra, in rilievo, i siti olimpici. E fin lì, tutto regolare. Si ringrazia pronunciando il fatidico siè siè - la pronuncia non è proprio questa, ma importa, viene premiata la buona volontà - e si spera che tutto fili liscio. I siti olimpici sono segnalati molto bene in città: doppia scritta, idiogranmni e inglesi. Insomma, difficile perdersi. I guai, seri, cominciano quando si deve tornare a casa. La cartina lì, spesso, non basta. A questo punto, siamo a fine giornata e si cerca la stanza d'albergo per una doccia che tiri via la stanchezza e la sporcizia rimediata nell'aria di Pechino per tutta la giornata, arrivano i guai. Il taxista - nel frattempo s'è fatta notte - non è un falco, la vista non è buona, la luce dentro la macchina cinese è scarsa. E allora? Varie opzioni. Prima, la più consigliata: telefonata all'hotel, la reception riceve il vostro invito d'aiuto in inglese e parte la spiegazione. L'impotenza è totale: il tassista col vostro telefonino emette dei suoni ai più - cioè a noi - incomprensibili. Si attende, c'è un uomo sconosciuto col vostro telefonino che prova a capire come riportarvi alla base. Seconda situazione. Un ristorante. E qui, però, il rischio è tutto vostro. Perché a fine giornata (cinese, italiana? Bello saperlo) non sempre si ha voglia di imbattersi nella sconfinata Pechino per rivivere un sottile panico da incomunicabilità. Ci si prova, magari accompagnati da qualche collega. Anche qui: numero di telefono del ristorante e nuova telefonata strategica. Ma molti non ce la fanno. Si perdono. Vagano nella notte per Pechino alla ricerca di qualcosa che non apparirà mai. Anche 100 chilometri percorsi in lungo e in largo accompagnati da una domanda assillante: ma come fece Marco Polo a parlare con questi qui?

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