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di FABRIZIO MARCHETTI I FASTI tricolori d'inizio 2000 sono un ricordo offuscato.

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L'inizio d'un ciclo, si diceva. Peccato che le insidie fossero già dietro l'angolo, s'annidavano dietro gli investimenti miliardari (perché l'euro era solo alle porte), celati dall'effimero beneficio dettato dalle plusvalenze e dai diritti televisivi, nascosti dall'avveniristica proiezione della quotazione in Borsa. Eppure, si dirà, le superpotenze arrancavano. Ora però lo scenario s'è rovesciato. Perché i colpi a effetto, anche sbagliati, sono diventati zavorre mortifere per bilanci soffocati dai debiti, e il Nord ha ripreso fiato. S'è organizzato, ha fatto «cartello» al ribasso quando s'è trattato di strappare Nesta alla Lazio (era l'estate del 2002, l'inizio della parabola discendente della gestione-Cragnotti), ha stretto sinergie per cementare forza e peso politico, semmai ce ne fosse stato bisogno (Juve-Milan) e oggi si porta via Capello, insidia Mancini (l'Inter di Moratti) e «tenta» gli ultimi gioielli rimasti su piazza per spazzare via le residue velleità Capitali. La gente fa la voce grossa, non ci sta. Vuole riprendersi la scena, anzi vuole che la vetrina rimanga sostanzialmente un fatto di «par condicio» e non solo perché le europee (elezioni, s'intende) sono alle porte. Garantire equilibri, stesse possibilità d'investimento, magari anche con l'aiuto delle tv, se è vero che Sky paga a peso d'oro i diritti della triade Inter-Milan-Juve (dai 94 dei bianconeri, comprensivi di diritti legati alla sponsorizzazione e bonus vari, ai circa 60 garantiti all'Inter), mentre inscena un tira e molla estenuante col tandem capitolino, partendo da una base d'asta che non regge il confronto. La Lazio interroga l'oracolo televisivo quasi fosse un miracolo rastrellare circa 35 milioni per una stagione, Sensi ne chiede 60, ma la forbice con le altre contendenti è davvero eccessiva. Un'equazione destinata a mortificare il confronto, a spaccare in due tronconi il campionato, con la Capitale vittima designata. E poi, come se non bastasse, sullo sfondo si staglia una doppia crisi societaria che sembra tanto un rebus cifrato. La Roma studia il dopo-Sensi con la complicità-Capitalia, la Lazio è invece senza padrone e con un aumento di capitale da 188 milioni che non ha ancora trovato risposte confortati. Si naviga a vista, insomma, con Ricucci e Ligresti, fino a ieri potenziali punti di riferimento che tentennano e rilasciano dichiarazioni poco concilianti con i propositi biancocelesti. Ieri, dopo il fulmine a ciel sereno di Capello, la gente s'è stretta intorno a Totti, ultimo baluardo d'un sogno incrinato. E sempre ieri è sceso in piazza il popolo laziale, una marea umana che non vuole smarrire il proprio ideale, la propria ragione di vita. Sei chilometri di fede, passione, di speranza. Il corteo della vita, dell'orgoglio. Per dire e ribadire che non può finire così. Già, non può finire così. Il calcio Capitale non vuole inchinarsi al Nord.

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