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di RINO TOMMASI I GIORNALI hanno accolto con molto ottimismo e con generale soddisfazione ...

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Alcuni ipotizzano addirittura che attraverso questa strada possano essere risolti, almeno in parte, i guai economici delle due società romane. Due o tre anni fa Fair Play ha trattato l'argomento lamentando che agli appassionati romani di calcio fosse impedito di godere al meglio lo spettacolo calcistico. Bello, affascinante come volete, l'Olimpico è, più ancora di quanto lo siano gli stadi di Napoli, Bari, Torino e Verona, assolutamente inadatto al calcio semplicemente perché, trascurando aspetti importanti come le vie d'accesso e i parcheggi, lo spettatore si trova troppo lontano dall'azione. Roma e Lazio avrebbero potuto e dovuto, insieme o separatamente, costruirsi un proprio stadio almeno trent'anni fa. Non lo hanno fatto perché i loro dirigenti ed i loro tifosi hanno sempre pensato che il problema del centravanti, Vieri o Batistuta non ha importanza, fosse più importante di quello dello stadio. Purtroppo la congiuntura economica, quella generale ma soprattutto quella particolare dei due club, è tale da rendere oggi più difficile la realizzazione di un progetto del genere. L'Olimpico compirà 51 anni il prossimo 17 maggio essendo stato inaugurato nel 1953 con una sfortunata partita della nostra nazionale di calcio (0 a 3 con l'Ungheria). Mi chiedo come mai, in oltre mezzo secolo, non siano state realizzate quelle iniziative che ora dovrebbero trasformare l'area del Foro in una macchina da soldi. Mi chiedo anche se, tra coloro che stanno studiando il problema, ci sia qualcuno che abbia acquisito, visitando, in Europa ma soprattutto negli Stati Uniti, gli stadi più moderni, gli elementi utili per un corretto e funzionale sfruttamento di un impianto polisportivo. La cultura dello stadio non è un problema solo romano se è vero che in Italia solo la Reggiana ha cercato di risolverlo con le proprie forze. Inoltre l'esempio non è brillante (lo dico prima che qualcuno me lo faccia notare) perché la Reggiana è precipitata in pochi anni dalla serie A alla C. Basta però uscire dal nostro piccolo giardino per capire come la proprietà e la gestione dell'impianto sia alla base del buon funzionamento di un club sportivo. La grande totalità delle nostre squadre giocano in stadi di proprietà comunale e quasi tutte sono in ritardo o non pagano del tutto l'affitto perché non c'è sindaco disposto a giocarsi la propria popolarità e la propria elezione per ottenere il rispetto degli accordi sottoscritti. Mi sia consentito citare due episodi personali. Trent'anni fa l'allora presidente della Lega Franco Carraro mi chiese, attraverso il direttore della Gazzetta Gualtiero Zanetti, uno studio sul funzionamento dei club professionistici americani. Ho saputo che tale studio è stato trovato qualche anno dopo nel cassetto di un funzionario che stava andando in pensione. Nel 1986 il proprietario della Società che aveva vinto l'appalto per la costruzione del nuovo stadio di Torino mi invitò a casa sua per farsi spiegare qualcosa sugli impianti americani che avevo avuto l'opportunità di frequentare, dopo di che costruì lo Stadio delle Alpi, che oltre ad essere meno bello dell'Olimpico, è ancora meno funzionale e meno redditizio.

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