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di RINO TOMMASI C'È UNA frase molto vera e molto divertente che ogni giornalista (ed ...

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L'ha detta un columnist del Boston Globe, Sam Silverman, e recita: «Never spoil a good story with the true» (mai rovinare una bella storia con la verità). Non era, nelle intenzioni di Silverman, un invito a stravolgere i fatti ma solo una considerazione dettata dall'esperienza e vuol dire che spesso un pizzico di fantasia rende migliore un articolo ma ne sacrifica la credibilità. Nel mondo dello sport molti ritengono che la famosa frase «l'importante non è vincere ma partecipare» l'abbia davvero pronunciata il barone Pierre De Coubertin, l'inventore delle Olimpiadi moderne. Non è così ma conta poco. Conta di più analizzare il concetto per capire come, pur essendo moralmente condivisibile, sia difficile adattarlo alla realtà. Prendiamo gli ultimi risultati della Champions League che hanno qualificato - per la prima volta nella nostra storia calcistica - tre squadre italiane per le semifinali. Proviamo ad immaginare come sarebbero stati i titoli dei nostri giornali se - fatte salve le prestazioni - l'Inter fosse stata battuta non solo nel gioco ma anche nel punteggio dal Valencia e se Zalayeta ma soprattutto Inzaghi non avessero colto allo scadere i gol che hanno promosso la Juventus ed il Milan. Questo per sottolineare, con buona pace di De Coubertin o del suo ispiratore, come nello sport sia soprattutto importante il risultato. Ci si chiede come mai ai successi delle nostre squadre di club non corrispondano altrettanti successi della nostra nazionale. Basta pensare che Juventus, Inter e Milan (citate in ordine di classifica) hanno complessivamente mandato in campo in questo campionato 81 giocatori, 42 dei quali stranieri, con una percentuale superiore al 50 per cento per capire come ci sia scarsa identità tra la qualità del nostro calcio nelle due versioni, nazionale ed internazionale. Un'analisi attenta - tecnica ed economica - della gestione dei nostri club più prestigiosi ci spiega come in molti casi sia ingiustificata e dannosa l'esterofilia dei nostri dirigenti. Senza citare il caso Mendieta, sarebbe interessante sapere quanto sono costati alla Roma i 7 minuti giocati da Balbo ed alla Lazio i 19 minuti giocati da De La Pena nel campionato scorso, oppure quanto costeranno quest'anno al Milan i 64 minuti di Ba o i 52 di Roque Junior . Siamo sicuri che Ibrahimovic (che a me piace molto) sia migliore di Toni (che a me piace moltissimo) ? Eppure quanti titoli ha avuto lo slavo rispetto all'attaccante del Brescia? Comunque, dal momento che l'eliminazione della Lazio era già avvenuta in Portogallo, è stata una buona settimana per il nostro calcio anche se è stata rovinata da una brutta notizia, alla quale a mio parere è stato dato scarso rilievo. Se il Catania di Gaucci licenzia il quinto allenatore (quest'anno ha già bruciato Jaconi, Pellegrino, Graziani, Toshak e Reja non è sicuro di finire il campionato) siamo nella normalità ma se l'Atalanta licenzia Vavassori c'è da preoccuparsi. Erano dieci stagioni che l'Atalanta non licenziava un allenatore (l'ultimo era stato Guidolin, anche quella volta un errore). A proposito di allenatori. Il calcio della serie B piange miseria, molte squadre non pagano gli stipendi da mesi, però nove squadre su 20 hanno cambiato il tecnico in corsa per un totale di 17 sostituzioni. Ebbene 15 di queste sostituzioni hanno riguardato 8 squadre del sud (Catania, Napoli, Cosenza, Palermo, Cagliari, Messina, Bari, Salernitana). Giusto preoccuparsi per assicurare al sud una maggiore rappresentatività nel grande calcio ma non sarebbe anche bene che il sud si aiutasse da solo?

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