Termini, il richiamo di Allah: dietro alle quattro "moschee" vicino alla stazione
L’inchiesta sulla stazione Termini si espande e tra i fattori che rendono la zona multietnica, con una forte prevalenza islamica, ci sono i centri culturali, in alcuni casi adibiti in modo irregolare a centri di preghiera. Il tutto concentrato in poche centinaia di metri. Siamo stati in via Napoleone III, poi alla "Moschea Masjid" di via San Vito 12A, alla Moschea di Baytur Rahman in via Bixio 46A e al "Vittorio Central Jame Masjid" di via Cairoli. La parola d’ordine era silenzio quando si ponevano delle domande circa la regolarità delle loro attività proprio a chi era in procinto, togliendosi le scarpe, di ascoltare la predica dell’ora di pranzo. «Non capisco», «sono qui ma non so niente», «l’imam non c’è», sono state le risposte ricevute nel migliore dei casi quando tentavamo di avere delucidazioni circa la messa in sicurezza delle strutture. Strutture che oggi sono regolarmente attenzionate dalle forze dell’ordine, sia per prevenire il rischio di radicalizzazione, sia per le problematiche che potrebbero sorgere in luoghi spesso sovraffollati, soprattutto il venerdì. In settimana, invece, la fascia oraria più richiesta è quella dell’ora di pranzo, in cui assistiamo a una processione dettata da diversi fattori. I centri culturali rappresentano una "calamita" per gli immigrati, così come lo è il mercato dell’Esquilino, con 130 banchi su 140 gestiti da stranieri, mentre la massiccia presenza, nell’area della stazione, di bed and breakfast e alberghi richiama l’attenzione dei malintenzionati sull’esercito disarmato dei turisti.
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Ma torniamo a questi edifici di culto, alle prescrizioni che dovrebbero adempiere e alla sicurezza di chi li frequenta: rispetto delle normative igieniche e sanitarie e di quelle antincendio, come tappeti ignifughi, uscite e luci di emergenza e capienza massima dei locali che spesso rischia di essere compromessa proprio dall’eccesso di fedeli che si recano al centro culturale.
«Abbiamo bisogno di pregare qui perché il messaggio del Profeta se siamo tanti arriva di più», rispondono dopo che chiediamo conto della destinazione d’uso dei locali, che dovrebbero essere adibiti a luogo di culto. Proprio su questo punto Fabrizio Santori, Capogruppo della Lega in Assemblea Capitolina, solleva dubbi sulla regolarità delle strutture, spiegando che «si prega in locali commerciali e magazzini, in spregio a ogni norma urbanistica e di sicurezza». «Ho già presentato - spiega un accesso agli atti al I Municipio per ottenere informazioni relative alla destinazione d’uso di questi spazi, ma ancora una volta ci troviamo di fronte a un muro di gomma da parte degli uffici municipali, che si ostinano a non rispondere. Un atteggiamento inspiegabile e gravissimo, soprattutto se confrontato con quanto accaduto nel VI Municipio e in altri Municipi dove, invece, le informazioni richieste sono state fornite con tempestività e trasparenza».
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Un luogo che trasuda "globalizzazione", come uno di loro ci ha tenuto a precisare, spiegandoci che oramai fanno parte della società. Ma non tutti, lì a piazza Vittorio, la pensano allo stesso modo. «Assurdo che preghino e professino il loro credo proprio accanto a una chiesa (come avviene nel caso dell’Associazione culturale islamica di via Napoleone III e la "Moschea Masjid" di via San Vito, ndr). Questo è l’aspetto che ci ha più scandalizzato, perché vogliono intaccare le nostre radici», commenta una cittadina. Così come sono anche negozianti che ammettono di accusare, piano piano, il colpo: «Abbiamo la nostra storica clientela, ma c’è chi anche tra i più affezionati non viene più. L’insicurezza è un fattore determinante». La zona della stazione oggi è una piccola Mecca, tra centri culturali, negozi e carne halal venduta ai bachi del mercato.
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