Roma, viaggio nella “kasba” del mercato Esquilino. Chi impreca e chi prega Allah a piedi nudi
Al mercato coperto dell’Esquilino, tra la stazione Termini e i portici di piazza Vittorio, i commercianti italiani sono merce rara: a sentire i diretti interessati su oltre 130 banchi se ne contano ormai meno di una decina. Non bisogna farsi ingannare infatti da certe insegne che riportano ancora nomi e cognomi nostrani, perché sotto di esse siedono venditori decisamente "esotici". Cinesi, bengalesi, pakistani, nordafricani, solo per citare i gruppi più numerosi. E la clientela naturalmente è analoga, specchio fedele di un rione tra i più multietnici di Roma, dove secondo l’Istat ogni mille residenti oltre 234 sono stranieri. «Ormai i padroni sono loro. E non va bene, perché le regole non le rispettano. Non tutti per carità, però tanti», si sfoga uno degli ultimi macellai italiani rimasti nella struttura, un tempo fiore all’occhiello del rione. Ora invece è uno dei simboli del degrado che lo soffoca e di un’integrazione rimasta solo sulla carta. Ci chiede di restare anonimo, perché di cose da dire ne ha parecchie ma altrettanto è il timore di subire ritorsioni: «Siamo abbandonati a noi stessi, segnaliamo quello che non va ma non cambia mai niente. E infatti i clienti italiani sono diminuiti tantissimo perché notano le carenze, soprattutto igieniche, e preferiscono spendere di più al supermercato».
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Annuisce Sara (nome di fantasia) seduta dietro un ricco banco di frutta e verdura che però quasi sparisce in mezzo alla dozzina di postazioni straniere che espongono cascate di pomodori, melanzane, cavolfiori, arance dalle scorze lucide ma soprattutto prodotti introvabili altrove: le piccole banane verdi sudamericane, il riso e le spezie, gli ortaggi sconosciuti alle nostre latitudini. Ai banchi della macelleria campeggia quasi ovunque la scritta «halal», che indica la carne trattata secondo la legge islamica e quindi «permessa» ai fedeli, mentre quella di maiale, vietata, si trova in reparti appositi. Proprio questa estrema varietà di prodotti esteri potrebbe essere una delle tante "calamite" verso l’Esquilino per buona parte della comunità straniera di Roma: se altrove devono accontentarsi dei minimarket, ad esempio, qui trovano un intero mercato che ha preso le sembianze di un bazar. Anche negli aspetti peggiori.
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Poco più di una settimana fa la polizia locale ha denunciato tre persone e sequestrato oltre mezza tonnellata di carne bovina, suina e ovina stipata dentro i bagagliai di due macchine e un furgone parcheggiati da ore nell’autorimessa del mercato. Di refrigerazione, neanche l’ombra, così come delle etichette sui sacchi di plastica. Da giorni, del resto, i residenti denunciavano sui social che la situazione era di nuovo precipitata. «Il mercato è una kasba maleodorante e in pessime condizioni igieniche sia dentro che fuori (tranne alcuni rari banchi, gestiti come si dovrebbe)», commenta Carmen sotto un video di ottobre in cui si vedono, tra le altre cose, chili e chili di carne trasportata nei carrelli della spesa. Il «fuori» potrebbe sottintendere ciò che ci racconta il macellaio di Roma est: oltre gli ingressi, infatti, si accamperebbero spacciatori di droga, anche loro stranieri, mentre all’interno sono frequenti gli scippi: «A volte siamo intervenuti noi per bloccare i ladri. Le forze dell’ordine? Vengono ogni tanto, chiudono uno o due banchi per qualche giorno, poi tutto ricomincia come prima». Dopo gli ultimi sequestri però la situazione è più ordinata, anche se certe abitudini sembrano dure a morire. Così, tra cassette piene di pesce lasciate su quelle che dovrebbero essere panchine di marmo, alla mercé di chiunque, c’è pure chi si toglie le scarpe, stende un telo e si mette a pregare verso La Mecca, ignorando il viavai di acquirenti. Passano uomini dalla pelle scura, donne velate con i figli piccoli al seguito, volti dagli occhi a mandorla. Se osserviamo bene, scorgiamo finalmente un signore italiano che si aggira tra i corridoi con una busta in mano. Sembra spaesato, d’altronde qui lo straniero è lui.
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