Cerca
Logo
Cerca
Edicola digitale
+

Le istallazioni presso Palazzo Farnese e i rimandi a Michelangelo

Marco Proietti
  • a
  • a
  • a

L’Ambasciata francese in occasione delle operazioni di restauro delle facciate laterali e del tetto di Palazzo Farnese (2021-2025), con l’intento di sottolineare gli antichi legami artistici e di amicizia tra l’Italia e la Francia, aveva patrocinato nel luglio del 2021 un progetto di una installazione di Land Art affidata all’artista francese Olivier Grossetete, noto per progetti di grandi dimensioni in carta e cartone in tutta Europa.

Si trattava della temporanea ricostruzione in cartone dell’utopico progetto michelangiolesco del ponte che il papa Paolo III Farnese gli aveva commissionato intorno al 1548 per collegare il giardino di Palazzo Farnese con quelli farnesiani al di là del fiume in Trastevere. 

La struttura lunga 18 metri consisteva in un ponte a tre fornici di struttura classica, realizzata su scala ridotta in cartone riciclabile, era sospesa in aria grazie a tre palloni di sei metri gonfiati ad elio, esattamente sul luogo del supposto ponte in asse con palazzo Farnese. L’opera doveva restare visibile in loco dal 13 al 18 luglio ma il maltempo ne aveva ridotta l’esposizione a soli due ultimi giorni, culminando nel momento dell’innalzamento aereo dell’Istallazione alla presenza dell’Ambasciatore francese Chistian Masset, dell’allora sindaca di Roma, del presidente dell’Accademia dei Licei e di altre autorità.

Dopo quell’effimera esperienza l’Ambasciata Francese ha continuato a stupirci con la superba  installazione che già da un anno possiamo ammirare sulla facciata di palazzo Farnese.  Si tratta di un imponente murale chiamato “Punto di Fuga” dell’artista francese JR.

Simulando uno squarcio trompe l’oeil, l’Autore fonde con grande abilità tre arcate del cortile, poste in basso con al di sopra l’angolo della Sala dei Fasti Farnesiani con brani degli affreschi di Francesco Salviati e Taddeo Zuccari.

Il magnifico Ercole Farnese al centro dell’immagine è incastonato perfettamente in un’arcata dell’ambulacro dove esattamente si trovava in antico, come testimonia la bella incisione di Antoine Lafrery del 1560. 

A sinistra scorgiamo l’asse dell’andito con la sua copertura a botte che si chiude in un cannocchiale ottico nell’immagine del portone reale del Palazzo, che, nelle rare volte in cui è aperta lascia intravedere una parte del cortile centrale e del giardino posteriore dove in perfetto asse si stagliava fino al 1730 la silhouette di quella montagna di marmo chiamata Toro Farnese. Entrambe le  sculture furono trasferite a Napoli, finalmente capitale di un Regno indipendente dopo 233 anni di dominio spagnolo, quando Carlo di Borbone figlio di Filippo V di Spagna vi entrò nel 1734.

Il nuovo Re volendo arricchire la capitale del suo nuovo regno di un grande museo, degno di quelli delle grandi capitali europee, decise di portare a Napoli le preziose collezioni farnesiane, ereditate dalla madre Elisabetta Farnese. Le due colossali sculture di Palazzo Farnese finiranno per essere collocate in quello che oggi chiamiamo Museo Archeologico Nazionale.

L’attuale installazione di street art, prevista fino alla primavera del 2022, è ancora visibile in attesa di un’altra sorprendente trouvaille che accompagni i restauri fino al 2025 ed essa si ricollega, con il suo cannocchiale ottico agli spazi ideali al di là del Tevere tramite il ponte progettato da Michelangelo e immaginato e riproposto da Oliver Grossetete.

Ritengo quindi che dietro entrambe le istallazioni si possa leggere in chiaro scuro il progetto ideale di Michelangelo di un asse viario che collegasse la piazza Farnese, il cortile posteriore del palazzo, tagliando via Giulia, ai giardini farnesiani oltre il Tevere. 

Il progetto del Buonarroti nasce nel nobile intento di un recupero del rapporto tra uomo e natura dopo il suo intervento di completamento di Palazzo Farnese seguito alla morte di Antonio da Sangallo nel 1546, che già l’aveva previsto, ma lo corregge e lo completa in quanto intende inserire la costruzione di un ponte in un più ampio progetto urbanistico che colleghi il paesaggio urbano con quello naturale.

Il Palazzo doveva costituire il centro di due assi ottici viari tra di loro consecutivi avrebbero permesso di vedere da Campo dei Fiori attraverso il vestibolo d’entrata del Palazzo: il suo giardino posteriore, una fontana, via Giulia, il ponte da costruire, il giardino sull’altra riva fino alla porta Settimiana.     

Il primo asse anteriore al Palazzo, davanti allo “Squarcio ottico” doveva aprirsi fino a piazza Sant’Eustachio spingendosi idealmente fino ad incontrare la chiesa di Trinità dei Monti cara all’artista. L’altro asse, posteriore si sarebbe prolungato oltre il Tevere fino ai giardini che la potente famiglia aveva acquistato in Trastevere presupponendo un collegamento tra le due rive con un ponte. Si trattava invero di una passerella lignea come Paolo III Farnese auspicava per non allungare il tragitto verso i suoi giardini trasteverini tramite ponte Sisto, come si apprende da  una lettera del 21 luglio 1548 rivolta a Cosimo I de’ Medici di un suo corrispondente romano. Sempre dal Vasari apprendiamo del ritrovamento nel 1545 presso le terme Antoniane del monumentale gruppo scultoreo, conosciuto poi come Toro Farnese, che Michelangelo avrebbe fatto collocare nel secondo cortile, una volta restaurato, ad uso di fontana. L’incisione di Lafrery, ce lo fa intravedere persino dal cortile centrale stesso attraverso il piccolo vestibolo posteriore progettato dal Sangallo e completato da Michelangelo. 

L’imponente gruppo che nella sua spiccata plasticità rappresentava  il Supplizio di Dirce si sarebbe imposto per il suo gigantismo in un fuori scala architettonico costituendo il polo di un asse ottico con due fondali monumentali. Mancando un monumento anche antico che chiudesse il fondale trasteverino, questo asse con relativo ponte fu solo parzialmente realizzato. L’altro asse, con un fondale nella facciata del Palazzo ed il suo finestrone stemmato che cela la sala dei Fasti Farnesiani, si apre tra le due fontane di riporto collocate nella piazza allungandosi fino all’odierna via dei Baullari  e si arresta all’attuale Corso Vittorio. 

Dal 1558, sotto Paolo IV, l’attenzione del Buonarroti fu rivolta alla sistemazione del colle Quirinale  dove la presenza monumentale del gruppo dei Dioscuri delle terme di Costantino e il maestoso fondale di Porta Pia, da lui disegnato tra il 1561 ed il 1564 gli permisero finalmente di realizzare un asse ottico completo dei suoi fondali. 

La sistemazione del Campidoglio proprio in quegli anni ci fornisce un ulteriore esempio illuminante di asse ottico a due fondali. 

Dagli scavi del Foro emersero due statue colossali antiche, riconosciute come Dioscuri, che sarebbero state collegate, su suggerimento di Michelangelo, ai lati delle balaustre d’ingresso alla piazza, come fondale ottico. Sembra d’obbligo pensare che ci sia una costante volontà del Buonarroti di ruotare intorno alla valorizzazione dei colossi marmorei, che per il loro fuori scala, rispetto all’architettura, sono capaci di costituire “un polo sufficiente intorno al quale costruire la scena urbana sia il particolarissimo rapporto dell’uomo con la natura, con l’antichità e con il mondo dell’arte” (Enrico Guidoni)

L’installazione del Grossetete, denominata “Ponte fra le Epoche“, non più visibile, mostrava chiaramente una ispirazione alle forme dei ponti in muratura romana con tre piloni ed arcate ad archivolto e carreggiata con parapetto. La struttura emblematica non offriva però alcuna prova del progetto originale di Michelangelo, come ammetteva lo stesso artista: “Effimera per natura come noi, queste monumentali costruzioni di cartone sono destinate a scomparire. La loro posta in gioco é quindi tanto nel processo, nel percorso e nell’esperienza  collettiva che propongono quanto nelle loro forme finali. Questo ponte ‘sospeso’, inaccessibile per essenza, si collega in definitiva solo a noi stessi. E’ l’immagine del nostro rapporto con l’indicibile”. IL Grande artista pur amando l’Antico non si è rifatto ai ponti romani per l’unico che ha veramente progettato, quello di Santa Trinita a Firenze. Ricostruito dopo l’alluvione del 1557 su incarico di Cosimo I, ad opera di Bartolomeo Ammannati, su suo disegno, offre una moderna linea a tre arcate ribassate, ben lontana dalle ghiere classiche. E’concepito come una sorta di una simbolica personalizzazione che vuole connotare la realtà con la propria sigla legata al suo prestigio, dove le arcate si leggono come una sorta di “m” minuscola, sigla Michelangiolesca imposta al discepolo fiorentino come pegno del suo apporto creativo. 

Già dal 1558 sotto Papa Paolo IV, egli aveva riproposto questa tipologia assiale nel progetto di collegare con una triplice scalinata il Quirinale con piazza Venezia, come è documentato nella Pianta di Roma di Stefano Du Pérac edita da A Lafrèry 1577. 

L’incisore, che era probabilmente venuto in possesso di uno schizzo originale del Maestro, rappresenta un tratto di scala monumentale dalle dimensioni di quella del Campidoglio e dell’Aracoeli, coperta lateralmente da corridoi, che non verrà però mai realizzata. 

Questo interesse di Michelangelo per i corridoi laterali tra campate o scalinate centrali trova una lontana ispirazione nei “corridoi” laterali occupati dalle botteghe e nel belvedere centrale del fiorentino Ponte Vecchio che lo spingeranno a concepire un analogo disegno per un ponte a Rialto a Venezia. Il Condivi ci attesta che l’artista avrebbe inviato un probabile modellino in legno nel 1554, quando i Provveditori veneziani richiedevano progetti ai “primi architetti d’Italia” per un ponte sul Canal Grande che fu solo realizzato dopo decennali discussioni nel 1591.

Il modello di Antonio da Ponte infatti presenta una forma che potrebbe ricordare un precedente progetto michelangiolesco, lontanamente ispirato nei “corridori” laterali occupati dalle botteghe e nel belvedere centrale al fiorentino Ponte Vecchio.

Solo in una “meta dimensione” spostata temporalmente potremmo immaginare il nostro ignoto corrispondente romano di Cosimo I che dalla Galleria di Palazzo ci riferisce di aver visto Paolo III Farnese e Michelangelo in quella mattina assolata del 21 luglio del 1548, percorrere la carreggiata centrale del ponte tra i due corridori e soffermarsi nel belvedere centrale guardando ponte Sisto immersi nelle meditazioni religiose, nelle discussioni sui temi dell’arte e “sulla storia di Roma rinascimentale che molto deve, in termini di qualità a colui che può considerarsi  il più illustre tra i cittadini onorari” (EG).
(Marco Proietti Ph.D.)

Dai blog