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Cecchin ucciso da terroristi ma rimasto senza giustizia

Francesco Storace
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Lo ammazzarono ad appena 17 anni. Era un militante di destra di Roma e solo per questo chi lo uccise lo odiava. Francesco Cecchin non ha mai avuto giustizia dopo quella morte atroce, buttato giù da un terrazzino nei pressi di piazza Vescovio. Al processo, che pure ci fu, si stabilì che fu omicidio volontario ma senza condannare l’imputato, per assenza di prove. E ora deve cominciare la battaglia per il riconoscimento come vittima del terrorismo. Perché di questo si trattò in quegli anni nella Capitale.
Oggi pomeriggio alle 17, a piazza Vescovio – nel giardino che gli è stato intitolato - sarà presentato un libro alla memoria di questo martire del Msi. Un ragazzo per bene, militante coraggioso nei tempi più difficili per la destra romana. “Una morte scomoda, l’omicidio di Francesco”, è il titolo del libro scritto da Federico Gennaccari.

 


A parlarne, tre protagonisti di quegli anni come Gianni Alemanno, Maurizio Gasparri e Fabio Rampelli. Che quella vicenda e quelle vicende le toccarono con mano, in un martirologio senza fine. 
Chiunque visse la triste storia di Francesco Cecchin ricorda bene come a sinistra si tentò di negare i fatti, ovvero il pestaggio e il lancio del suo corpo da quel terrazzo alto 5 metri, spacciandolo come una fuga finita male.
Ebbene, Gennaccari dà la risposta: “C’è un sentenza della magistratura che ha rimesso le cose apposto, secondo la quale si è trattato di omicidio volontario. Ha infatti stabilito che Francesco è stato picchiato duramente (con un colpo gli hanno spappolato la milza); e poi gettato di sotto dai suoi aggressori da un muro alto 5 metri all’interno dello stabile di via Montebuono 5. Batté violentemente la testa e non si è mai ripreso, morto dopo 18 giorni di coma”.
Il processo ci fu, a carico di un militante del Pci poi assolto, e nella sentenza i giudici ci andarono comunque pesanti, contestando l’assenza di indagini serie: “Appare incomprensibile la mancanza di ogni attività investigativa nell'ambito degli appartenenti alla fazione politica opposta a quella della vittima... La mancanza di prove in ordine al crimine commesso è con tutta probabilità da connettere a una estrema lacunosità delle indagini sotto i profili qualitativo, quantitativo e temporale”. Non si volle cercare i colpevoli del delitto, insomma.
Di più, la sentenza del processo non individuò gli assassini ma sostenne che Francesco Cecchin fu aggredito e scaraventato giù dal muretto (forse già svenuto) con la chiara intenzione di ucciderlo, come ribadito nella Sentenza della Corte d'Assise di Roma:
“È convinzione della Corte che, nel caso di specie, non si sia trattato di omicidio preterintenzionale, ma di vero e proprio omicidio volontario”.
Cecchin, che poche ore prima aveva avuto una lite con militanti comunisti del suo quartiere per una storia di manifesti affissi e strappati, fu inseguito dai suoi aggressori e ammazzato nella maniera che abbiamo raccontato. Omicidio volontario perché fu riconosciuto dai suoi avversari che decisero di farlo fuori. 
Ma, oltre quarant’anni dopo, non scompare dalla memoria di chi ne ha raccolto il testimone.

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