Pendolari

I pendolari della sanità: pazienti fuori dal Lazio per sottoporsi alla Pet

Antonio Sbraga

Tre pazienti su dieci nel Lazio sono costretti a fare i pendolari della salute fuori Regione per poter effettuare una Pet, la tecnica diagnostica di medicina nucleare molto utile per confermare una diagnosi di tumore: verifica la presenza di metastasi o una diminuzione della massa tumorale. E per almeno altri 6 anni saranno condannati a questo straziante andirivieni, in special modo verso la Campania ed il Molise. A scriverlo è la stessa Regione, che ha infatti «stabilito che il numero delle Pet da attivare, entro l'anno 2027, fosse pari ad 8, comprese quelle in programmazione presso l'Azienda Policlinico Umberto I, l'Azienda Sanitaria Locale di Viterbo e l'Azienda Ospedaliera San Camillo-Forlanini, già comprese nei Piani di edilizia sanitaria. L'attivazione di tali grandi apparecchiature consentirà la riduzione della mobilità passiva che vede il 29% di cittadini laziali che si sottopongono a Pet rivolgersi fuori Regione».

 

  

 

L'ultimo bilancio dei pendolari-Pet «presenta un volume pari a 9.075 prestazioni. Le Regioni con maggior potere attrattivo sono state il Molise con 4.392 esami e la Campania con 2.813 esami», quantifica la Regione Lazio. Per questo «tasso di fuga intorno al 29% di pazienti oncologici rilevati sul territorio», con «elevati livelli di mobilità passiva», ogni anno il Lazio sostiene costi di circa 10 milioni di euro per rimborsare gli esami effettuati dalle altre Regioni. Perché il Lazio dispone di sole 8 Pet pubbliche: «le strutture che possono erogare tale prestazione sono il Polo Ospedaliero Latina, il Policlinico Universitario Gemelli, I.F.O. Regina Elena, Azienda Ospedaliera S. Andrea e Policlinico Tor Vergata», che per stessa ammissione della Regione non riescono ad effettuare complessivamente più di 25 mila prestazioni l'anno. Ma la richiesta di questo esame è sempre più alta e, per accorciare i tempi, i pazienti sono costretti a sconfinare, anche in Toscana, Umbria e Marche.

 

Ma in queste altre 3 Regioni del Centro, insieme al Lazio, sono in funzione le Pet più "vecchie" d'Italia: l'età media, infatti, «è di 8,4 anni a fronte di una media nazionale di 7,6 anni», sottolinea l'ultimo Rapporto stilato dall'"Osservatorio parco installato" (Opi) di Confindustria dispositivi medici. Secondo il quale sempre le 4 Regioni centrali presentano altre apparecchiature ormai troppo obsolete: «Nel Centro Italia il 72% dei mammografi ha più di 10 anni (la media è di 13,3 per i convenzionali e 5,6 di quelli digitali) e il 52% delle Tac con più di 64 strati ha meno di 5 an ni». Anche la gamma camere per la medicina nucleare hanno un'età media (13,3) superiore a quella nazionale (12,9). Ma in tutta la penisola ci sono ben «18.000 apparecchiature di diagnostica per immagini obsolete come risonanze magnetiche, PET, TAC, angiografi e mammografi», denuncia l'Opi, che da anni fotografa lo stato di vetustà del parco tecnologie in uso presso le strutture sanitarie italiane pubbliche e private, «situazione che non permette di offrire, da parte del già provato Sistema sanitario nazionale, servizi di diagnostica e prevenzione troppo adeguati».