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«Così San Lorenzo morirà»

Molti gestori di locali hanno scelto di non riaprire

Stefano Liburdi
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«San Lorenzo così morirà». Monta la rabbia, mentre si fa largo la rassegnazione, di chi ha visto il quartiere prima ferito da spaccio, morti e delibere rivelatesi rimedi peggiori dei mali, poi colpito a morte dalla pandemia. Sono i gestori di bar e ristoranti, tra i più penalizzati dalle misure restrittive imposte dal governo per fronteggiare l'emergenza sanitaria, a lanciare il grido di allarme, forse per molti l'ultimo. Molti di loro hanno scelto di non riaprire. «Le attività commerciali della zona erano in grave affanno già da prima dell'arrivo del coronavirus. - spiega il proprietario di un ristorante - La nostra situazione era precipitata dopo la morte di Desirée Mariottini. Da quando è stata uccisa quella povera ragazza, sono aumentati i problemi per chi lavora qui. Adesso rischiamo definitivamente di chiudere i nostri esercizi, come già hanno fatto molti locali, anche quelli storici, di San Lorenzo». Le strade sono rimaste semi-deserte anche dopo il 4 maggio, la data che ha sancito l'ingresso nella Fase 2 in questo lento tentativo di ritorno alla normalità. I bar e i ristoranti adesso possono aprire e vendere alimenti e bevande da asporto in attesa dell'apertura definitiva di cui ancora non è certa la data né le modalità. Non tutti però hanno alzato la serranda: «Molti, come noi, hanno deciso di restare chiusi perché non conviene economicamente aprire così, ma anche e soprattutto per protesta. - dice Demetrio, proprietario del Bar dei Brutti - Dalle istituzioni non abbiamo ancora ricevuto aiuto: non sappiamo neanche quando e come potremmo riprendere le nostre attività. Secondo le prime indicazioni pensano di salvare le nostre entrate concedendoci il 35% di spazio in più per i tavolini esterni. Ma non può bastare questo: con il distanziamento sociale noi per esempio, perderemo almeno 5 tavoli per recuperarne uno. Noi all'amministrazione chiediamo solo di poter lavorare». Il quartiere che sprigionava energia sia di giorno che di notte, ormai è un ricordo lontano. Le situazioni difficili convivevano una accanto all'altra negli ultimi anni e avevano trovato un loro fragilissimo equilibrio, saltato nell'ottobre 2018 quando Desirée è stata barbaramente lasciata morire in un casale abbandonato in via dei Lucani, rifugio e centrale operativa degli spacciatori. Da lì la delibera che ha stabilito lo stop dell'alcol alle ore 21, in anticipo rispetto alle altre zone della movida della Capitale. L'effetto di quel provvedimento è stato quello di far “emigrare” i giovani, nella maggior parte studenti universitari, verso altre zone. I locali si sono così svuotati come le vie, rimaste ostaggio degli spacciatori, quelli sì sempre puntuali al loro posto. Molte attività sono state costrette ad arrendersi e anche molte camere di studenti sono rimaste sfitte. Daniele e Luca sono i figli di Celestino, storico personaggio di San Lorenzo che presta il nome al locale di via degli Ausoni: «Ci siamo impegnati molto in questi anni a dare un'immagine diversa del quartiere. - spiegano in coro - Con gli eventi culturali volevamo dimostrare che qui non c'è solo movida sfrenata, ma ci si può divertire e stare bene anche senza esagerare con alcol o altro. Abbiamo addirittura deciso di anticipare la chiusura all'una, per andare incontro alle esigenze dei residenti ed evitare gli schiamazzi notturni. Adesso diventa tutto ancora più difficile». I due parlano con l'aria preoccupata, ma conservano la sfrontatezza, la tenacia e la voglia di fare tipiche della loro età, pur sapendo che il ritorno alla normalità è ancora lontano. Anche “Celestino” ha deciso di rimanere chiuso, almeno per il momento. «In questi giorni stiamo approfittando per fare alcuni lavori. - proseguono Daniele e Luca - Aprire così con queste condizioni non ha molto senso, anche perché il lockdown ha avuto come conseguenza anche la perdita di tutti quei lavori in cui erano impiegati gli studenti, come il cameriere nei pub o la musica che con le serate e i concerti qualche entrata la portava. I soli soldi che hanno adesso, sono quelli che gli danno i genitori per pagare l'affitto. Di certo non possono più spendere per un aperitivo». Amareggiato invece il padre, Celestino: «Siamo abbandonati. Abbiamo 5 ragazzi che lavoravano qui in cassa integrazione, ma ancora non hanno ricevuto nulla e vanno avanti con quel poco che riesco a dargli io». Anche il chiosco bar all'interno del “Parco dei caduti” ha preferito non riaprire, nonostante l'ingresso al parco sia adesso consentito. L'area giochi dei bambini è interdetta e così i piccoli danno sfogo alla loro energia, rimasta costretta per troppo tempo, scorrazzando tra cemento e il poco verde nell'altra parte del piccolo spazio, dove molti abitanti portano i cani. Sono nate così forti discussioni tra genitori e alcuni proprietari poco educati di animali, loro senza colpa alcuna, lasciati liberi di correre minacciosi dietro bambini impauriti e liberi di fare i loro bisogni lasciati poi lì a terra. Per calmare gli animi sono dovuti intervenire gli uomini della polizia locale che ora presidiano lo spazio cercando di insegnare almeno le basi di civiltà. È evidente che per molte persone questi due mesi di isolamento non sono serviti per riflettere sul valore della libertà e sulle regole della convivenza.  

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