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«Noi abbandonati come carne da macello»

Un detenuto in una mail lancia il suo grido di allarme: «Qui promiscuità senza protezioni»

Stefano Liburdi
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«Non si ha nessuna dotazione di protezione per il virus, né mascherine né altro. Il distanziamento sociale è impossibile da attuare, si vive in una completa promiscuità incoscientemente». A pochi giorni della notizia del primo detenuto morto per coronavirus a Bologna, arriva via mail da un recluso a Rebibbia, il grido di allarme sulle tragiche conseguenze che potrebbero verificarsi nei penitenziari italiani, se il covid-19 sfonderà definitivamente quelle mura. Le misure adottate nel decreto Cura Italia non sono sufficienti, i braccialetti elettronici promessi, non sono ancora disponibili e il sovraffollamento delle carceri rimane un problema irrisolto dove il virus può banchettare allegramente. La mail segnala in sei punti quelle che sono le criticità più evidenti in questo momento di emergenza. Il detenuto senza faziosità ci racconta di una situazione pesante all'interno del penitenziario, dove i ritmi della giornata non sono mutati, dove dopo le proteste «nulla è cambiato». Il discorso della pandemia ha preso il sopravvento su qualsiasi altro argomento nelle ore diventate pesanti per la sospensione di ogni attività rieducativa. Si cerca di sopperire, almeno in parte, con le videochiamate all'assenza dei colloqui con i familiari, che era il momento più atteso per si trova lontano dagli affetti. All'interno del carcere, continua il detenuto, si ha la consapevolezza che il covid-19 arriverà portato da chi ha contatto con l'esterno (sono già 150 gli agenti di polizia penitenziaria contagiati) e si attende ormai rassegnati: «Lo stato emotivo è sensibile e alterato, ci si sente abbandonati come carne da macello, in quanto non ci sono protezioni, né preparazione, né mezzi, qualora l'epidemia dilagasse nelle carceri».

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