Cerca
Logo
Cerca
Edicola digitale
+

Un finto principe per truffe alla Totò

Andrea Ossino
  • a
  • a
  • a

Un principe arabo, il suo interprete, i funzionari di una rinomata banca e alcuni avvocati. Tutti ben vestiti e seduti in un bar in via Cola di Rienzo per concludere una affare da 280mila euro che avrebbe dovuto fruttare a un imprenditore tedesco ben 2 milioni e 800 mila euro. Una scena degna di un film di Totò. Perché le persone sedute a quel bar sono dei truffatori. E l'imprenditore tedesco è la vittima da spennare, una delle numerose persone colpite dai raggiri messi a segno dalla banda di truffatori fermata solo grazie all'intervento dei carabinieri. I militari della compagnia Eur erano sulle tracce degli indagati da molto tempo. E ieri, grazie al loro lavoro, il gip Paola Di Nicola ha dato il via libera all'operazione: 10 persone sono finite in carcere, 8 ai domiciliari, una non potrà allontanarsi da Roma e altri 4 nomi sono stati iscritti sul registro degli indagati. Sono dei professionisti e per anni hanno fatto parte di un sistema di truffe basato soprattutto sui furti di identità.  Per approfondire leggi anche: RUBAVANO IDENTITA' DALLE CARTE DI CREDITO Al vertice dell'organizzazione c'era Roberto Piacentini, 56 anni. Grazie ai contatti con alcuni funzionari bancari riusciva a carpire i dati delle vittime, spendendo i loro soldi, falsificandone gli assegni, sbloccando buoni posta, richiedendo finanziamenti e dirottando verso utenze telefoniche riconducibili ai complici anche i messaggi di «allert» inviati dalle banche in caso di acquisti sospetti. Domenico Cannavicci, dipendente di Deutsche Bank, era il suo complice più fidato. L'albanese Nedad Nikolic aveva capacità degne di un attore. È lui che è riuscito spacciarsi per uno sceicco, il sedicente Principe Saiad. Dici «Principe Said, buongiorno...ossequi de qua e de là, una volta che tutto quanto, prendi il foglio dell'Iban in mano fai la telefonata». Così Piacentini aveva istruito il complice, rivelando al telefono di voler mettere le mani su 30 chili di oro custoditi dalla vittima, l'imprenditore tedesco. L'intervento dei carabinieri ha fatto saltare l'affare. Nella vicenda sono stati coinvolti anche un vicedirettore di un ufficio postale e un avvocato del Foro di Roma con collegamenti internazionali. Secondo l'accusa facevano tutti parte di un'associazione a delinquere che tra il Lazio e la Campania compiva reati di ogni sorta. Le accuse sono numerose: indebito utilizzo di carte di credito/pagamento, frode informatica tramite accesso abusivo a un sistema informatico o telematico, sostituzione di persona, truffa, ricettazione e riciclaggio. Anche le vittime erano molte: oltre 60. Secondo i carabinieri i 240 colpi messi a segno o tentati sono fruttati agli indagati almeno 3 milioni di euro.

Dai blog